2011-12-19 16:27:41

Giornata della cooperazione Sud-Sud: confronto fra Stati "esclusi" per dare peso ai propri diritti


Il 19 dicembre le Nazioni Unite celebrano la Giornata mondiale per la cooperazione Sud-Sud. Nel suo messaggio per il 2011, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nota come la cooperazione tra realtà geograficamente o socialmente vicine possa raggiungere risultati di portata diversa da quelli dei tradizionali aiuti allo sviluppo. Un’affermazione che resta valida anche considerando i mutamenti degli ultimi anni. Lo ha spiegato a Davide Maggiore, il segretario generale di ActionAid Italia, Marco de Ponte:RealAudioMP3

R. – Ci sono Paesi del Sud del mondo che adesso sono ormai grandi potenze economiche, ma sotto questa frase – cooperazione Sud-Sud – in realtà ancora oggi, anche se i pesi di potere tra questi Paesi sono cambiati, si nasconde un valore molto più importante che è la cooperazione tra poveri ed esclusi, realizzata non necessariamente a livello dello Stato ma tra comunità che affrontano gli stessi problemi. Forse è la dizione “Sud-Sud” che va ulteriormente elaborata: ci sono molti “Sud” all’interno dei Paesi…

D. – Quali sono i campi in cui la cooperazione così intesa può incidere maggiormente?

R. – Penso che sia soprattutto un valore di costruzione sociale, che va enfatizzato; cioè, lo scambio tra comunità povere ed escluse costruisce qualcosa quando si impernia sull’acquisizione di una consapevolezza dei propri diritti. In questo senso, le comunità dei poveri ed esclusi – prendendo consapevolezza dei propri diritti attraverso lo scambio non solo della loro condizione di oppressione, ma delle soluzioni che si possono trovare – continuano ogni giorno ad accumulare capitale sociale che poi può essere speso, appunto, perché questi diritti possano essere reclamati.

D. – E tuttavia, anche in questo tipo di cooperazione, esiste la tendenza a investire in maniera classica, ad esempio in infrastrutture…

R. – La cooperazione Sud-Sud che non sta investendo nella costruzione sociale, si potrebbe dire che usa un paradigma vecchio, ma non si può liquidare dicendo che non funziona, perché in fondo basta ricordare che in un Paese come l’India nel giro di pochi anni si è ridotto di 200 milioni il numero di persone che soffrono la fame. Quindi, il loro modello di sviluppo va in qualche maniera rispettato, e c’è da imparare. Anche se pure in questi Paesi cresce il disequilibrio: quindi, la questione sociale, la questione degli squilibri di potere all’interno di una società, dovrebbe essere comunque al centro delle attenzioni.

D. – A suo parere, dunque, non esiste un solo modello fruttuoso di cooperazione Sud Sud...

R. – Diciamo che veramente importante è che tale cooperazione risulti fruttuosa per le comunità, per chi in qualche modo si sente escluso dalla costruzione di una società più equa nel proprio Paese.

D. – Che bilancio si può tracciare della cooperazione Sud-Sud nel corso di questi anni?

R. – E’ un bilancio che non si chiude mai, perché il mondo evolve: sicuramente è stata un’intuizione importante, quella che i Paesi esclusi dovessero allearsi tra loro. Questa chiamata a un comune sentire di chi si sentiva escluso resta valida. Perde un po’ di validità, ultimamente, se si limita al confronto tra le responsabilità degli Stati e acquista un nuovo valore invece se la si sa reinterpretare in un’ottica di comunanza di intenti, di voglia di imparare, di trovare soluzioni tra comunità che possono anche trovarsi all’interno dello stesso Paese. (gf)







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