Giornata della cooperazione Sud-Sud: confronto fra Stati "esclusi" per dare peso ai
propri diritti
Il 19 dicembre le Nazioni Unite celebrano la Giornata mondiale per la cooperazione
Sud-Sud. Nel suo messaggio per il 2011, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon,
nota come la cooperazione tra realtà geograficamente o socialmente vicine possa raggiungere
risultati di portata diversa da quelli dei tradizionali aiuti allo sviluppo. Un’affermazione
che resta valida anche considerando i mutamenti degli ultimi anni. Lo ha spiegato
a Davide Maggiore, il segretario generale di ActionAid Italia, Marco de
Ponte:
R. – Ci sono
Paesi del Sud del mondo che adesso sono ormai grandi potenze economiche, ma sotto
questa frase – cooperazione Sud-Sud – in realtà ancora oggi, anche se i pesi di potere
tra questi Paesi sono cambiati, si nasconde un valore molto più importante che è la
cooperazione tra poveri ed esclusi, realizzata non necessariamente a livello dello
Stato ma tra comunità che affrontano gli stessi problemi. Forse è la dizione “Sud-Sud”
che va ulteriormente elaborata: ci sono molti “Sud” all’interno dei Paesi…
D.
– Quali sono i campi in cui la cooperazione così intesa può incidere maggiormente?
R.
– Penso che sia soprattutto un valore di costruzione sociale, che va enfatizzato;
cioè, lo scambio tra comunità povere ed escluse costruisce qualcosa quando si impernia
sull’acquisizione di una consapevolezza dei propri diritti. In questo senso, le comunità
dei poveri ed esclusi – prendendo consapevolezza dei propri diritti attraverso lo
scambio non solo della loro condizione di oppressione, ma delle soluzioni che si possono
trovare – continuano ogni giorno ad accumulare capitale sociale che poi può essere
speso, appunto, perché questi diritti possano essere reclamati.
D. –
E tuttavia, anche in questo tipo di cooperazione, esiste la tendenza a investire in
maniera classica, ad esempio in infrastrutture…
R. – La cooperazione
Sud-Sud che non sta investendo nella costruzione sociale, si potrebbe dire che usa
un paradigma vecchio, ma non si può liquidare dicendo che non funziona, perché in
fondo basta ricordare che in un Paese come l’India nel giro di pochi anni si è ridotto
di 200 milioni il numero di persone che soffrono la fame. Quindi, il loro modello
di sviluppo va in qualche maniera rispettato, e c’è da imparare. Anche se pure in
questi Paesi cresce il disequilibrio: quindi, la questione sociale, la questione degli
squilibri di potere all’interno di una società, dovrebbe essere comunque al centro
delle attenzioni.
D. – A suo parere, dunque, non esiste un solo modello
fruttuoso di cooperazione Sud Sud...
R. – Diciamo che veramente importante
è che tale cooperazione risulti fruttuosa per le comunità, per chi in qualche modo
si sente escluso dalla costruzione di una società più equa nel proprio Paese.
D.
– Che bilancio si può tracciare della cooperazione Sud-Sud nel corso di questi anni?
R.
– E’ un bilancio che non si chiude mai, perché il mondo evolve: sicuramente è stata
un’intuizione importante, quella che i Paesi esclusi dovessero allearsi tra loro.
Questa chiamata a un comune sentire di chi si sentiva escluso resta valida. Perde
un po’ di validità, ultimamente, se si limita al confronto tra le responsabilità degli
Stati e acquista un nuovo valore invece se la si sa reinterpretare in un’ottica di
comunanza di intenti, di voglia di imparare, di trovare soluzioni tra comunità che
possono anche trovarsi all’interno dello stesso Paese. (gf)