Economia, ancora segni di instabilità dai mercati. Intervista con il prof. Paolo Guerrieri
Anche se con oscillazioni meno gravi i mercati continuano a dare segni di instabilità,
mentre le agenzie di rating li seguono con aggiustamenti di valutazioni. E questo
nonostante il cambio di diversi governi di Paesi europei e il varo di misure anti
crisi. Di questa sorta di braccio di ferro tra politiche e mercati, Fausta Speranza
ha parlato con il prof. Paolo Guerrieri, docente ordinario di economia
all’Università La Sapienza di Roma e visiting professor al College of Europe in Belgio:
R. – E’ un
braccio di ferro che sta andando ancora avanti e che, purtroppo, sta producendo risultati
molto negativi, perché le previsioni per il prossimo anno per quanto riguarda l’Europa
e per quanto riguarda l’economia mondiale parlano di un rallentamento, di un ristagno
a livello mondiale. E per l’Europa ormai siamo già in una fase di recessione, cioè
di segno meno, di produzione che diminuisce. Sono rischi che – come sappiamo - riguardano
poi anche gli equilibri mondiali e quelli finanziari. Quindi il braccio di ferro tra
mercati e politiche sta andando male, perché da tutte e due le parti ci sono atteggiamenti
e si ribadiscono, in qualche modo, direzioni che non sono quelle necessarie.
D.
– Si parla tanto di governance politico-economica in Europa: si sta seriamente cercando
di fare qualcosa o, comunque, che cosa andrebbe fatto?
R. – Un passaggio
obbligato: da un’Europa monetaria, quindi semplicemente basata sulla comunanza di
una moneta, a un’Europa economica e quindi politica. Purtroppo in questi anni l’Europa
e soprattutto le politiche europee hanno sviluppato e hanno, in qualche modo, coltivato
di nuovo i nazionalismi europei. Questo passaggio per ora non si vede: noi abbiamo
fatto l’Europa non solo per avere un’area più efficiente e mercati più efficienti,
ma per avere uno spazio che divenisse politico, uno spazio di diritti comuni, quindi
uno spazio di grandi idealità. Questo spazio è uno spazio di responsabilità, ma anche
di solidarietà. Dobbiamo recuperare questa dimensione, perché in questi anni l’abbiamo
costantemente negata e l’Europa è stata vista come fonte di problemi. Dobbiamo, invece,
rilanciare l’idea che l’Europa, per un Paese come l’Italia ma direi anche per tutti
i singoli Paesi, è l’unica, l’unica prospettiva di poter contare in questo nuovo mondo
multipolare. Altrimenti questi Paesi finiranno come tante piccole province di un’economia
mondiale dominata da altri: la Cina, gli Stati Uniti, l’India… Quindi la prospettiva
europea è ancora più fondamentale che non in passato. Questo significa accettare una
logica di solidarietà non solamente perché risponde a queste idealità, ma perché conviene,
perché egoisticamente conviene a tutti i Paesi.
D. – Mercati, debiti
sovrani e misure finanziarie, ma c’è anche un altro elemento, ci sono anche le speculazioni…
R.
– Questo è un tema molto delicato, perché i mercati sono una cosa molto complessa
e naturalmente i mercati hanno una loro logica. Producono risultati efficienti e di
cui dobbiamo giovarci ma i mercati – come si dice – non hanno né cuore né cervello:
in altri termini i mercati si muovono anche, in molte situazioni, con grandi ondate
di comportamenti che possono risultare anche irrazionali e soprattutto non hanno una
direzione, non hanno un piano. Allora lì dove la politica, come in questo momento,
accusa una forte debolezza è proprio la debole politica che produce mercati che, in
qualche modo, ancora di più reagiscono seguendo più i loro istinti irrazionali che
non queste direzioni efficienti.
D. – Professore, con uno sguardo più
ampio, pensiamo all’Occidente e all’Asia: a che punto è il confronto sul piano dell’economia?
R.
– Quello che stiamo vivendo è molto complicato, perché noi siamo nel mezzo di una
transizione che non è retorico chiamare storica, perché l’economia mondiale è vissuta,
decenni e decenni, su Stati Uniti e Europa mentre oggi c’è il “terzo polo”, c’è l’Asia
che è diventata a tutti gli effetti un terzo polo fondamentale. Quindi siamo un’economia
multipolare e questo per molti versi è da auspicare e da favorire, ma è molto difficile
– e questo, in qualche modo, stiamo cercando di farlo – integrare queste nuove economie
dentro un’economia mondiale che produca stabilità. Queste economie asiatiche sono
molto più brave a vendere e a esportare di quanto oggi non comprino, non acquistino:
c’è uno squilibrio e allora l’economia mondiale oggi soffre paradossalmente di una
mancanza di domanda per i suoi prodotti e di bisogni insoddisfatti che sappiamo clamorosi.
Questa transizione riguarderà i prossimi anni. Bisogna superare questi squilibri con
politiche che escano – diciamo – dal tradizionale seminato di politiche che sono o
di domanda, che quindi spingono a consumare, o solo di offerta che, in qualche modo,
pretendono semplicemente di sviluppare la produzione. C’è bisogno di politiche nuove
all’altezza di queste sfide. (mg)