Risoluzione di condanna della Russia all'Onu contro le violenze in Siria, l’Iraq si
offre per la mediazione
La comunità internazionale fa quadrato sulla repressione in Siria. La Russia, tradizionale
alleata del regime Assad, ha presentato a sorpresa, ieri sera, una risoluzione al
Consiglio di sicurezza dell'Onu in cui condanna "le violenze di tutte le parti, compreso
l'uso sproporzionato della forza delle autorità siriane”. Gli Stati Uniti si sono
detti pronti a lavorare con Mosca. Intanto sul terreno è ancora sangue. Circa quaranta
tra soldati lealisti, disertori e civili, sono rimasti uccisi secondo attivisti anti-regime
in uno scontro nel sud del Paese e nell'ormai quotidiana repressione nei principali
epicentri della rivolta. Il servizio è di Marina Calculli:
Sulla questione
siriana interviene direttamente anche l'Iraq, con il suo premier Al Maliki che ha
annunciato l’invio di una delegazione a Damasco per mediare una soluzione alla crisi,
dopo 10 mesi di proteste represse nel sangue dalle autorità siriane, con un bilancio
- secondo l’Onu - di oltre 5000 vittime. Sul terreno, ancora scontri nella provincia
meridionale di Daraa, dove almeno 27 membri dell'esercito e delle forze di sicurezza
sono stati uccisi nel corso di combattimenti con gruppi di disertori. Sul significato
della missione di Baghdad, Giada Aquilino ha intervistato Laura Guazzone, docente
di Storia contemporanea dei Paesi Arabi all’Università La Sapienza di Roma:
R. - C’è
un estremo bisogno di mediazioni in questo momento, in cui la crisi siriana sta entrando
forse non nella sua ultima fase, ma senz’altro nella fase sin qui più pericolosa.
E’ estremamente importante uno sforzo di mediazione internazionale, che non miri,
però, soltanto a sostenere l’opposizione nella rimozione del regime, ma che possa
dare garanzie al regime stesso per evitare uno scontro finale e un bagno di sangue.
In questo momento l’Iraq è sempre più legato nelle sue scelte di politica estera più
che agli Stati Uniti all’Iran, che nella competizione internazionale sta pesando sempre
di più sulla crisi interna siriana, ed è in una posizione di contrapposizione - in
alleanza con il movimento-partito degli Hezbollah in Libano - con altri grandi leader
regionali, quali la Turchia e l’Arabia Saudita.
D. - Il Consiglio nazionale
siriano, che raggruppa le principali forze di opposizione ad Assad, si riunisce a
Tunisi per il suo primo congresso. Che potere ha, di fatto, in Siria?
R. -
Diciamo che nel corso della rivolta, che ormai - come sappiamo - dura dal marzo del
2011, si è andato progressivamente consolidando il rapporto fra le opposizioni in
esilio, i capi e i partecipanti della rivolta all’interno del Paese. Ciononostante
il Consiglio nazionale siriano è solo il più importante dei raggruppamenti dell’opposizione
all’estero; è il più rappresentativo e riconosciuto dai principali Paesi occidentali
o dai Paesi arabi, ma è solo uno. Dunque il rapporto è dunque buono e solido, ma non
c’è una completa – diciamo - legittimità e rappresentanza politica da parte di questo
consiglio rispetto alle componenti dell’opposizione siriana interna.
D. -
Lei ha parlato di una fase importante della crisi, cosa si può prevedere per le prossime
settimane?
R. - In qualche modo quella che era una delle preoccupazioni della
Comunità internazionale, quella cioè di creare ai confini del territorio siriano delle
aree protette dove la popolazione civile potesse trovare rifugio, dei corridoi umanitari,
si sta di fatto realizzando in diversi governatorati siriani attraverso la lotta armata,
sostenuta soprattutto dai disertori dell’esercito siriano, che si sono autodenominati
“Esercito della Siria Libera”: sia al nord che al sud esistono ormai delle aree che
sono sfuggite, anche se non totalmente, al controllo delle forze di sicurezza del
regime. Nonostante il costo di violenza e dunque di vite umane che comporta, questo
potrebbe essere - ma bisogna ovviamente essere molto cauti - uno sviluppo positivo,
perché dall’interno di questi territori – se non liberati, comunque in mano all’opposizione
- potrebbe partire una possibilità di trattativa fra opposizione e regime, quella
che finora Bashar al-Assad ha rifiutato. (fd)