Libano: proposte dal convegno di Beirut promosso dal Consiglio ecumenico delle Chiese
Come sta cambiando la migrazione negli scenari ecclesiastici nel mondo? Quali sono
i cambiamenti e che impatto avranno sulle comunità di immigrati? Cosa possono fare
le Chiese per promuovere una cultura dell’accoglienza e della diversità e individuare
nuove risposte alla domanda teologica: «Chi è il mio prossimo?» in un mondo sempre
più globalizzato? Questi i principali quesiti che hanno caratterizzato l’incontro
ecumenico svoltosi a Beirut, in Libano, dal titolo: «Migration and the Ecclesial Landscape:
Who is my Neighbour?», promosso dalla Global Ecumenical Network on Migration del Consiglio
ecumenico delle Chiese (Cec), in collaborazione con la All Africa Conference of Churches,
la Commission for Migrants in Europe della Conferenza delle Chiese europee e il Middle
East Council of Churches. L’incontro – riferisce L’Osservatore Romano - ha dato la
possibilità ai numerosi partecipanti provenienti da diversi Paesi non solo di confrontarsi,
conoscere, individuare le soluzioni e condividere le principali tematiche sull’immigrazione
in Africa, Europa e Medio Oriente, ma ha rafforzato quell’impegno ecumenico per la
comprensione di quanto sia importante considerare positivamente l’universo di tradizioni,
culture, lingue e religioni. Attraverso esso si è chiamati a interagire quotidianamente
proprio nella prospettiva della testimonianza dell’unità della Chiesa. Nello specifico,
i rappresentanti delle Chiese in Africa hanno spiegato che il fenomeno migratorio
nel continente non è nuovo, ma è stato sempre presente con una migrazione interna
numericamente più bassa rispetto a quella esterna. Ciò è spiegato dal fatto che la
povertà, la disoccupazione e il conflitto in molte regioni spingono sempre più persone
ad abbandonare il proprio Paese alla ricerca di un futuro migliore. «Per questo motivo
— hanno spiegato i leader religiosi africani — l’accoglienza, la tolleranza, il rispetto
per l’altro e l’amore verso il prossimo sono diventati cruciali per il futuro del
nostro Paese». Sarah Silomba Kaulule, vice-moderatore della commissione fede e ordine
del Consiglio ecumenico delle Chiese, ha focalizzato il suo intervento sulla situazione
dei migranti in Zambia. «Occorre aiutarli e integrarli. La missione della Chiesa —
ha spiegato — è quella di accogliere i migranti e rifugiati. Per questo abbiamo bisogno
di una solida base che non provochi divisioni e scontri, ma che ci aiuta a capire
e soprattutto accettare l’altro, anche se diverso». Kaulule, inoltre, ha incoraggiato
le Chiese a offrire spazi sicuri per impedire che i migranti finiscano nella rete
dei trafficanti di esseri umani. Anche in Europa i migranti fanno fatica a inserirsi
nel tessuto sociale. Gerrit Noort, direttore della missione olandese del Cec, ha parlato
delle sfide poste dal multiculturalismo e dell’esperienza delle comunità religiose
nei Paesi Bassi che, seppur diverse, collaborano a livello ecumenico per facilitare
l’integrazione dei migranti. Diverso, invece, il fenomeno della migrazione in Medio
Oriente, dove migliaia di persone sono colpite da turbolenze politiche, conflitti
e persecuzioni. Secondo B. Audeh Quawas, membro del comitato centrale del Cec e del
Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, «è indispensabile il dialogo interreligioso.
Per promuovere il rispetto per le minoranze e avviare un dialogo positivo e proficuo,
soprattutto tra cristiani e musulmani, le Chiese dovranno fare di più e sconfiggere
la paura». (L.Z.)