Il Papa all'udienza generale: la vera preghiera apre il cuore a Dio e al prossimo
Il Papa durante l’udienza generale di oggi nell’Aula Paolo VI in Vaticano ha svolto
la sua catechesi sulla preghiera di Gesù “legata alla sua prodigiosa azione guaritrice.
Nei Vangeli – ha detto - sono presentate varie situazioni in cui Gesù prega di fronte
all’opera benefica e sanante di Dio Padre, che agisce attraverso di Lui. Si tratta
di una preghiera che, ancora una volta, manifesta il rapporto unico di conoscenza
e di comunione con il Padre, mentre Gesù si lascia coinvolgere con grande partecipazione
umana nel disagio dei suoi amici, per esempio di Lazzaro e della sua famiglia, o dei
tanti poveri e malati che Egli vuole aiutare concretamente”.
Benedetto XVI
ha rilevato che “un caso significativo è la guarigione del sordomuto” come riporta
il racconto dell’evangelista Marco (cfr Mc 7,32-37)”. L’episodio “mostra che l’azione
sanante di Gesù è connessa con un suo intenso rapporto sia con il prossimo, il malato,
sia con il Padre. La scena del miracolo è descritta con cura: «Lo prese in disparte,
lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua;
guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, “Apriti”»
(7,33-34). Gesù vuole che la guarigione avvenga «in disparte, lontano dalla folla».
Ciò non sembra dovuto soltanto al fatto che il miracolo deve essere tenuto nascosto
alla gente per evitare che si formino interpretazioni limitative o distorte della
persona di Gesù. La scelta di portare il malato in disparte fa sì che, al momento
della guarigione, Gesù e il sordomuto si trovino da soli, avvicinati in una singolare
relazione. Con un gesto, il Signore tocca le orecchie e la lingua del malato, ossia
le sedi specifiche della sua infermità. L’intensità dell’attenzione di Gesù si manifesta
anche nei tratti insoliti della guarigione: Egli impiega le proprie dita e, persino,
la propria saliva. Anche il fatto che l’Evangelista riporti la parola originale pronunciata
dal Signore - «Effatà», ossia «Apriti!» - evidenzia il carattere singolare della scena”.
Per
il Papa “il punto centrale di questo episodio è il fatto che Gesù, al momento di operare
la guarigione, cerca direttamente il suo rapporto con il Padre. Il racconto dice,
infatti, che Egli «guardando … verso il cielo, emise un sospiro» (v. 34). L’attenzione
al malato, la cura di Gesù verso di Lui, sono legati ad un profondo atteggiamento
di preghiera rivolta a Dio. E l’emissione del sospiro è descritta con un verbo che
nel Nuovo Testamento indica l’aspirazione a qualcosa di buono che ancora manca (cfr
Rm 8,23). L’insieme del racconto, allora, mostra che il coinvolgimento umano con il
malato porta Gesù alla preghiera. Ancora una volta riemerge il suo rapporto unico
con il Padre, la sua identità di Figlio Unigenito. In Lui, attraverso la sua persona,
si rende presente l’agire sanante e benefico di Dio. Non è un caso che il commento
conclusivo della gente dopo il miracolo ricordi la valutazione della creazione all’inizio
della Genesi: «Ha fatto bene ogni cosa» (Mc 7,37). Nell’azione guaritrice di Gesù
entra in modo chiaro la preghiera, con il suo sguardo verso il cielo. La forza che
ha sanato il sordomuto è certamente provocata dalla compassione per lui, ma proviene
dal ricorso al Padre”.
Benedetto XVI spiega dunque che si incontrano queste
due relazioni, la relazione umana di compassione di Gesù con l’uomo che a sua volta
entra nella relazione con Dio e diventa così guarigione. “Nel racconto giovanneo della
risurrezione di Lazzaro – prosegue il Papa - questa stessa dinamica è testimoniata
con un’evidenza ancora maggiore (cfr Gv 11,1-44). Anche qui s’intrecciano, da una
parte, il legame di Gesù con un amico e con la sua sofferenza e, dall’altra, la relazione
filiale che Egli ha con il Padre. La partecipazione umana di Gesù alla vicenda di
Lazzaro ha tratti particolari. Nell’intero racconto è ripetutamente ricordata l’amicizia
con lui, come pure con le sorelle Marta e Maria. Gesù stesso afferma: «Lazzaro, il
nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo» (Gv 11,11). L’affetto sincero
per l’amico è evidenziato anche dalle sorelle di Lazzaro, come pure dai Giudei (cfr
Gv 11,3; 11,36), si manifesta nella commozione profonda di Gesù alla vista del dolore
di Marta e Maria e di tutti gli amici di Lazzaro e sfocia nello scoppio di pianto
– così profondamente umano - nell’avvicinarsi alla tomba - dice San Giovanni - «Gesù
allora, quando … vide piangere [Marta], e piangere anche i Giudei che erano venuti
con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: “Dove lo avete posto?”.
Gli dissero: “Signore, vieni a vedere!”. Gesù scoppiò in pianto» (Gv 11,33-35)”.
Il
Pontefice sottolinea che “questo legame di amicizia, la partecipazione e la commozione
di Gesù davanti al dolore dei parenti e conoscenti di Lazzaro, si collega, in tutto
il racconto, con un continuo e intenso rapporto con il Padre. Fin dall’inizio, l’avvenimento
è letto da Gesù in relazione con la propria identità e missione e con la glorificazione
che Lo attende. Alla notizia della malattia di Lazzaro, infatti, Egli commenta: «Questa
malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di
essa il Figlio di Dio venga glorificato» (Gv 11,4). Anche l’annuncio della morte dell’amico
viene accolto da Gesù con profondo dolore umano, ma sempre in chiaro riferimento al
rapporto con Dio e alla missione che gli ha affidato: «Lazzaro è morto e io sono contento
per voi di non essere stato là, affinché voi crediate» (Gv 11,14-15). Il momento della
preghiera esplicita di Gesù al Padre davanti alla tomba, è lo sbocco naturale di tutta
la vicenda, tesa su questo doppio registro dell’amicizia con Lazzaro e del rapporto
filiale con Dio”. Anche qui – aggiunge il Papa - le due relazioni vanno insieme. «Gesù
allora alzò gli occhi e disse: “Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato”» (Gv
11,41).
Benedetto XVI quindi osserva: “la frase rivela che Gesù non ha lasciato
neanche per un istante la preghiera di domanda per la vita di Lazzaro. Questa preghiera
continua, anzi, ha rafforzato il legame con l’amico e, contemporaneamente, ha confermato
la decisione di Gesù di rimanere in comunione con la volontà del Padre, con il suo
piano di amore, nel quale la malattia e la morte di Lazzaro vanno considerate come
luogo in cui si manifesta la gloria di Dio”.
“Leggendo questa narrazione –
è l’esortazione del Papa - ciascuno di noi è chiamato a comprendere che nella preghiera
di domanda al Signore non dobbiamo attenderci un compimento immediato di ciò che chiediamo,
della nostra volontà, ma affidarci piuttosto alla volontà del Padre, leggendo ogni
evento nella prospettiva della sua gloria, del suo disegno di amore, spesso misterioso
ai nostri occhi. Per questo, nella nostra preghiera, domanda, lode e ringraziamento
dovrebbero fondersi assieme, anche quando ci sembra che Dio non risponda alle nostre
concrete attese. L’abbandonarsi all’amore di Dio, che ci precede e ci accompagna sempre,
è uno degli atteggiamenti di fondo del nostro dialogo con Dio. Il Catechismo della
Chiesa Cattolica commenta così la preghiera di Gesù nel racconto della risurrezione
di Lazzaro: «Introdotta dal rendimento di grazie, la preghiera di Gesù ci rivela come
chiedere: prima che il dono venga concesso, Gesù aderisce a colui che dona e che nei
suoi doni dona se stesso. Il Donatore è più prezioso del dono accordato; è il “Tesoro”,
ed il cuore del Figlio suo è in lui; il dono viene concesso “in aggiunta” (cfr Mt
6,21 e 6,33)» (2604)”. Questo – afferma – “mi sembra molto importante. Prima che il
dono venga concesso aderire a Colui che dona, il donatore più prezioso del dono”.
Anche per noi, quindi – prosegue - al di là di ciò che Dio ci dona quando lo invochiamo,
il dono più grande che può darci è la sua amicizia, la sua presenza, il suo amore.
Lui è il tesoro prezioso da chiedere e custodire sempre”.
“La preghiera che
Gesù pronuncia mentre viene tolta la pietra dall’ingresso della tomba di Lazzaro –
afferma il Papa - presenta poi uno sviluppo singolare ed inatteso. Egli, infatti,
dopo avere ringraziato Dio Padre, aggiunge: «Io sapevo che mi dai sempre ascolto,
ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato»
(Gv 11,42). Con la sua preghiera, Gesù vuole condurre alla fede, alla fiducia totale
in Dio e nella sua volontà, e vuole mostrare che questo Dio che ha tanto amato l’uomo
e il mondo da mandare il suo Figlio Unigenito (cfr Gv 3,16), è il Dio della Vita,
il Dio che porta speranza ed è capace di rovesciare le situazioni umanamente impossibili.
La preghiera fiduciosa di un credente, allora, è una testimonianza viva di questa
presenza di Dio nel mondo, del suo interessarsi all’uomo, del suo agire per realizzare
il suo piano di salvezza”.
Le due preghiere di Gesù che accompagnano la guarigione
del sordomuto e la risurrezione di Lazzaro – ha continuato il Santo Padre “rivelano
che il profondo legame tra l’amore a Dio e l’amore al prossimo deve entrare anche
nella nostra preghiera. In Gesù, vero Dio e vero uomo, l’attenzione verso l’altro,
specialmente se bisognoso e sofferente, il commuoversi davanti al dolore di una famiglia
amica, Lo portano a rivolgersi al Padre, in quella relazione fondamentale che guida
tutta la sua vita. Ma anche viceversa: la comunione con il Padre, il dialogo costante
con Lui, spinge Gesù ad essere attento in modo unico alle situazioni concrete dell’uomo
per portarvi la consolazione e l’amore di Dio”. La relazione con l’uomo – aggiunge
- ci guida verso la relazione con Dio. Quella con Dio ci guida di nuovo al prossimo.
Il
Papa dunque conclude: “la nostra preghiera apre la porta a Dio, che ci insegna ad
uscire costantemente da noi stessi per essere capaci di farci vicini agli altri, specialmente
nei momenti di prova, per portare loro consolazione, speranza e luce. Il Signore ci
conceda di essere capaci di una preghiera sempre più intensa, per rafforzare il nostro
rapporto personale con Dio Padre, allargare il nostro cuore alle necessità di chi
ci sta accanto e sentire la bellezza di essere «figli nel Figlio» insieme con tanti
fratelli”.