L’Ue e la sfida dell’unione fiscale. Il commento dell’economista Quadrio Curzio
Il vertice dell’Unione Europea dei giorni scorsi a Bruxelles ha sancito una nuova
fase politica ed economica per uscire dalla crisi. Ma il rafforzamento del Fondo Salva-Stati,
l’unione fiscale tra i Paesi membri e più stretti vincoli di bilancio saranno sufficienti
a salvare l’Euro? Michele Raviart lo ha chiesto al prof. Alberto Quadrio
Curzio, professore emerito di economia politica all’Università cattolica del Sacro
Cuore:
R. – Che
ci fosse un rischio Euro è certamente fuori discussione, perché negli ultimi tempi
l’aggressione speculativa dei mercati su due Stati di grande dimensioni come l’Italia
e come la Spagna, che sommati assieme fanno quasi il 29 per cento del prodotto interno
lordo di “Eurolandia”, rappresentava una minaccia per tutta la zona Euro. Questa aggressione
ha portato ad un formidabile aumento dei tassi di interesse su quei titoli di Stato
dei due Paesi e una contemporanea riduzione dei tassi sui titoli tedeschi, che negli
ultimi tempi hanno cominciato essi stessi ad avere dei problemi, con un’asta di titoli
di Stato che non è andata affatto bene.
D. – L’Euro è a rischio allora?
R.
– Credo che dopo questo vertice il rischio sia notevolmente diminuito, per tre ragioni
fondamentali. Innanzitutto, perché i due cosiddetti fondi salva Stati saranno ben
presto omogeneizzati e resi attivi e la loro capacità di intervento sarà come minimo
di 500 miliardi di Euro, ma io penso molto di più. La seconda ragione è che la Banca
Centrale Europea, malgrado nelle sue dichiarazioni affermi che non interverrà a difesa
dei titoli di Stato dei singoli Paesi, in realtà si sta muovendo in quella direzione,
dando anche molta liquidità al sistema bancario, che soffre. La terza ragione invece
- di medio e lungo termine - è che questa operazione di omogeneizzazione delle politiche
di bilancio e delle politiche fiscali dovrebbe rendere i diversi Paesi di “Eurolandia”
più conformi ad una regola comune.
D. – In che cosa consiste questa
unione fiscale stabilita a Bruxelles?
R. – Per ora significa che i deficit
non debbano debordare dallo 0.5 del Pil su base annua, che ci siano delle sanzioni
per chi deborda e che i bilanci prima di essere tradotti in leggi nazionali debbano
essere validati dall’Unione Europea stessa.
D. – Questi meccanismi di
sanzione automatici sono credibili, visto che meccanismi analoghi per il patto di
stabilità di Maastricht sono stati anche elusi nel corso degli anni?
R.
– Questo è uno dei punti cruciali, perché obiettivamente una qualche discrezionalità
politica dovrà comunque rimanere. I bilanci dei singoli Stati devono rimanere dentro
dei limiti di ragionevolezza, ma non possono essere “pietrificati” in numeri immutabili.
Ci vogliono dei margini che solo la politica può interpretare.
D. -
La posizione defilata del Regno Unito, in questo vertice, quale logica sottende, quali
sono gli interessi britannici nell’Unione Europea, a questo punto?
R.
– Io non mi sono affatto meravigliato di questo esito, perché la Gran Bretagna vive
sostanzialmente sulla piazza finanziaria di Londra, che assieme alla piazza di Singapore
è la più grande del mondo e, dunque, non può assoggettarsi a quelli che sono i meccanismi
di funzionamento del continente europeo, che invece vive sostanzialmente su una forte
manifattura, alla quale la finanza rende servizi. In Inghilterra è esattamente il
contrario: una piccola manifattura che vive intorno ad una grande finanza. A mio avviso
si è ratificata una situazione che era già in atto da tempo ed è meglio che si sia
chiarita.(ap)