Somalia. Storica visita di Ban Ki-moon a Mogadiscio. Mons. Bertin: segno di speranza
“Fermare la violenza e partecipare al processo di pace in Somalia”: è l'appello lanciato
dal segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ai miliziani islamici di al Shabaab,
nel corso della sua visita di oggi a Mogadiscio. È la prima volta, dopo lo scoppio
della guerra civile nel 1991, che un segretario generale delle Nazioni Unite compie
una visita nella capitale del Paese africano. Ban è stato accolto all'aeroporto di
Mogadiscio dal primo ministro somalo, Abdiweli Mohamed Ali. Grande felicitazione per
questa visita è stata espressa dal mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti
e amministratore apostolico della diocesi di Mogadiscio, al microfono della collega
della nostra redazione francese, Marie Duhamel:
R. – Io vedo
la venuta di Ban Ki-moon come un segno di speranza, nel senso che il segretario generale
delle Nazioni Unite con questo gesto vuole appoggiare l’azione intrapresa in questi
ultimi mesi soprattutto dal suo rappresentante Augustine Mahiga in Somalia. E allora
per me più che una certezza di pace ritrovata, è un segno di speranza, un segno di
appoggio, verso un cammino sul quale bisognerà procedere.
D. – Come
l’Onu può oggi aiutare la Somalia a ritrovare la pace?
R. – Aiutare
la Somalia a ritrovare la pace significa di nuovo trovare un modo per cui il centro-sud
della Somalia possa abbandonare quella strada che ha preso da anni, questa strada
di totale mancanza di pace, di insicurezza, e prendere una strada nella quale attraverso
le diverse riforme, attraverso anche una nuova Costituzione, attraverso anche un nuovo
governo - bisogna ricordarsi che la rappresentante del segretario delle Nazioni Unite
sta lavorando su un “feuille de route” come si dice in francese - possa arrivare all’agosto
del 2012, possibilmente, con nuovi interlocutori per dare una rinascita al centro-sud
della Somalia.
D. - Ma questo significa che l’Onu potrebbe per esempio
essere mediatrice per aiutare gli Shabaab a tornare al dialogo per esempio?
R.
– Sì, è uno sforzo che probabilmente stanno facendo con gli Shabaab. Naturalmente,
io ho dubbi almeno sulla parte ideologizzata degli Shabaab. Bisognerà tener conto
che anche tra gli Shabaab ci sono legami con qualche clan della Somalia e con qualche
tribù somala e allora probabilmente bisognerà lasciare aperta la possibilità a un
dialogo con queste persone che si oppongono in questo momento a un processo di pace
ma che sono rimaste ancora sensibili al bene della loro propria popolazione, proprio
perché non sono tanto ideologizzate ma sono piuttosto rimaste legate a un certo senso
di scontentezza di fronte al processo politico che si sta portando avanti da un paio
d’anni dove bisogna riconoscere che c’è una forte presenza di corruzione. (bf)