Conferenza di Durban, difficile ampio accordo sul clima
Ultimo giorno di lavori a Durban, in Sudafrica, per i delegati dei 190 Paesi presenti
alla 17° Conferenza Onu sui Cambiamenti climatici. Un appuntamento che, come Copenhagen
e Cancun, rischia di fallire a causa del mancato accordo sul dopo-Kyoto. Qualche spiraglio,
però, si vede: gli Usa hanno detto ieri di appoggiare la proposta europea di una "tabella
di marcia" verso un nuovo accordo sulle emissioni inquinanti. L'Ue, da parte sua,
ha annunciato di aver ottenuto l'appoggio di 90 Paesi. Sulla necessità di cambiare
il sistema economico per salvaguardare il clima e dunque l’umanità, Salvatore Sabatino
ha intervistato Giuseppe De Marzo, tra i fondatori dell’associazione “A Sud”, presente
a Durban:
R. - Il clima
sta cambiando a causa di un modello di sviluppo sbagliato, energivoro, insostenibile
e gli scienziati - oramai la scienza è unanime su questo - ci dicono: il clima sta
cambiando, la temperatura media della terra rischia di aumentare di quattro gradi
in questo secolo e quindi di produrre sconvolgimenti di massa inenarrabili. Di fronte
a questi scenari, non possiamo cambiare il clima ma dobbiamo cambiare il sistema:
dobbiamo adattarci ai cambiamenti climatici, dobbiamo mitigarli e dobbiamo produrre
un’idea dello sviluppo che ci tenga insieme salvaguardando quello che noi oggi abbiamo
e soprattutto i diritti delle prossime generazioni, perché noi abbiamo avuto questo
pianeta in prestito, siamo gli amministratori, e quindi dovremmo, si spera, lasciare
qualcosa anche a quelli che verranno. Perciò, dato che siamo davanti alla più grave
minaccia dell’umanità, come è stata definita da Obama, Gordon Brown e Silvio Berlusconi
nel 2009 a Copenaghen, durante il COP15, cioè il vertice mondiale sul clima tenutosi
in Danimarca, noi diciamo lo stesso. Proprio perché siamo davanti a una situazione
peggiore, in termini di sconvolgimenti climatici, rispetto a quella che pensavamo
anni fa, noi abbiamo bisogno di cambiare questo sistema che la crisi ha prodotto.
Cambiando il sistema, scopriremo che saremmo in grado di affrontare non solo la crisi
ecologica, ma anche la crisi economica e finanziaria.
D. - Un segnale
importante arriva in questi giorni dall’Africa e se ne parla pochissimo; c’è questa
grande carovana a Durban…
R. - Il fatto che centinaia di migliaia di
africani abbiano dato vita a una marcia di settemila chilometri in Africa - un grande
umanità con impegno verso la terra e di responsabilità verso gli altri che io, dal
mio punto di vista di italiano, trovo profondamente cristiano - e il fatto pure che
due milioni di africani abbiano firmato una richiesta che questa carovana portasse
ai governanti la questione della giustizia ambientale - oggi fondamentale per evitare
quel razzismo ambientale, economico, di cui l’Africa è vittima - lo trovo di grande
importanza: è un problema che ci interroga tutti.
D. - Tu sei partito
da un binomio meraviglioso: giustizia climatica uguale sviluppo….
R.
- Esatto. Se uno statunitense, in termini pro-capite, emette 24 tonnellate di CO2
all’anno e un cittadino dell’Africa ne emette sette volte di meno, io
mi chiedo: c’è una relazione sulla sua capacità di svilupparsi, di accedere all’energia,
ai beni comuni, alle risorse, oppure no? E’ chiaro che, dal nostro punto di vista,
ciò che obiettiamo è che se ci sviluppassimo tutti all’interno di questo modello avremmo
bisogno di cinque pianeti. E’ chiaro che bisogna escludere dallo sviluppo l’82 per
cento restante della popolazione planetaria che dice: attenzione, se voi occupate
la mia atmosfera, la mia noosfera, la mia biosfera, se voi mangiate il mio germoplasma,
il mio spazio bioriproduttivo, la mia biodiversità, acidificate i miei mari, desertificate
i miei territori, c’è un debito ecologico scandaloso che voi avete contratto con noi
e ci impedite di svilupparci. Quindi, rovesciando sul piano logico, ecco l’equazione:
giustizia climatica uguale sviluppo. (bf)