Bruxelles, clima teso alla vigilia del vertice Ue: "L'euro può esplodere"
Gli occhi di tutto il mondo puntati su Bruxelles, dove questa sera si apre il vertice
Ue cruciale per la tenuta della moneta unica e per l’intero progetto d'integrazione
europea. Forte il pressing degli Stat Uniti, con il segretario al Tesoro, Timothy
Geithner, che già da due giorni è in Europa per spronare i suoi leader a fare tutto
il necessario. Il servizio di Marco Guerra:
Un accordo
per la sopravvivenza dell’euro e la riforma dei Trattati per arrivare a una più stretta
unione fiscale. Questi sono gli obiettivi dichiarati del vertice dei 27 Paesi dell’Unione
Europa e invocati dalle istituzioni finanziare di mezzo mondo. Ma sulla reale possibilità
che, nel corso della due giorni, si possa raggiungere una soluzione efficace per la
difesa della moneta unica, sono in pochi a scommettere. I primi a mostrare scetticismo
sono il presidente francese, Nicola Sarkozy, e il cancelliere tedesco, Angela Merkel,
nonostante l'intesa annunciata lunedì dai due capi di Stato. Alla vigilia del summit,
il ministro francese degli Affari europei, Jean Leonetti, non ha usato mezzi termini
per descrivere la situazione: “L'euro può esplodere” e “l'Europa disfarsi” e questo
sarebbe una catastrofe “per tutto il mondo”. Sul tavolo restano, infatti, molte questioni
irrisolte: la Germania continua a bocciare ogni ipotesi di aumento del fondo salva-Stati
europeo e chiede una linea più rigida per i Paesi con conti pubblici fuori controllo.
Paesi solidi come Austria, Olanda e Finlandia condividono con Berlino di non dover
sborsare altri soldi. Bisogna poi fare i conti con la Gran Bretagna, che potrebbe
trovare un’alleanza con i membri Ue esterni alla zona euro per fermare la riforma
dei Trattati. In questo caso, sarebbe pronto un accordo per un trattato tra i 17 Stati
della moneta unica. Fortemente preoccupato per le conseguenze Obama che ieri sera
ha chiamato il cancelliere tedesco Merkel, mentre il segretario al tesoro Geithner
ha visto stamane il premier italiano Monti, garantendo il sostegno degli Usa agli
“sforzi dell'Italia e dell'Unione Europea”.
In Italia, è iniziato l’iter
parlamentare della manovra economica del governo Monti. La Commissione Lavoro della
Camera ha dato parere favorevole alla legge finanziaria, ma chiede di garantire l’indicizzazione
automatica sulle pensioni fino a tre volte il minimo, ossia 1.400 euro. Tra le coperture
suggerite all’esecutivo per far fronte a questa modifica, un contributo di solidarietà
sulle pensioni d'oro, sulle cosiddette "baby-pensioni", oppure l'incremento della
percentuale del prelievo sui capitali che hanno beneficiato dello scudo fiscale. Intanto,
i sindacati Cgil, Cisl e Uil hanno proclamato uno sciopero unitario di tre ore per
lunedì 12 dicembre. I sindacati si dicono "preoccupati per le conseguenze" sui lavoratori.
Per un’analisi complessiva della manovra, Luca Collodi ha intervistato il prof.
Stefano Zamagni:
R. - E' una
manovra attesa, legata allo stato di necessità nel quale stava versando il nostro
Paese: già abbiamo visto il rimbalzo dei mercati, che hanno percepito e recepito il
senso finale di questa manovra, che è quello di rimettere il nostro Paese nell’alveo
dello sviluppo. Quindi, direi che va dato atto ai membri di questo governo di aver
accolto una sfida con coraggio e anche con determinazione.
D. - Una
seconda riflessione da fare riguarda alcune tematiche care alla Dottrina sociale della
Chiesa. Sembra, ad esempio, che la manovra sia un po’ carente sul fronte della famiglia,
dei giovani e del volontariato, il cosiddetto terzo settore. Lei è d’accordo su questa
riflessione?
R. - Quello che ho detto è riferito alla manovra così com’è
stata formalizzata ed esposta. Il problema successivo è: avrebbe potuto l’attuale
governo, usando la stessa manovra, inserire al proprio interno alcuni elementi che
non modificando affatto i saldi finali - perché questo è un punto fermo - avrebbe
tuttavia inviato messaggi in diverse direzioni? La mia risposta è sì. Ho motivo di
ritenere che nella conversione in legge al parlamento qualcosa di questo possa essere
fatto. Ad esempio il cinque per mille: bisogna indicare nella manovra che la legge
sul cinque per mille deve diventare una legge ordinaria. Questo non significa affatto
aumentare le uscite perché i tetti sono già stati prestabiliti: basta soltanto trasformare
una norma - che ogni anno è transitoria e che getta nel panico il mondo del terzo
settore - in una legge ordinaria, in modo tale che tutti possano sapere in anticipo
come poter impostare i propri bilanci. Secondo, il fattore famiglia: sulla famiglia
questa manovra non spende una sola parola. Si parla di membri della famiglia, ma la
famiglia è un soggetto, che ha una sua soggettività civile, economica e sociale. Perché
allora non utilizzare la manovra per scrivere che in un arco di tempo ragionevole
- sei-otto mesi - il governo si impegna a rivedere la normativa fiscale sulla famiglia
per allinearla a quanto fanno gli altri Paesi europei, prima fra tutti la Francia
con il cosiddetto “fattore famiglia”, che il Forum delle famiglie ha da tempo proposto
e sul quale c’è quasi, quasi unanimità di consenso? Questa è una riforma a costo nullo
o meglio che ha dei costi in prospettiva, ma nell’attuale manovra non si dice “non
la introduciamo ora, ma ci impegniamo ad introdurla, con le dovute mediazioni, nei
prossimi mesi.” Bisogna notare che sono state fatte le cosiddette audizioni di tipo
concertativo e il Forum delle famiglie non è stato ascoltato... Eppure, il Forum delle
famiglie nel nostro Paese raggruppa alcuni milioni di cittadini: non è, dunque, inferiore
a quello delle altre parti sociali. Terzo, la tassazione sui cosiddetti redditi "scudati":
noi sappiamo che il precedente governo, per mano del ministro Tremonti, aveva introdotto
una tassa - quasi ridicola - del 5 per cento. Quindi, i grandi evasori per riportare
in Italia i capitali evasi hanno pagato sugli stessi una tassa del 5 per cento. Questa
manovra la aumenta ora dell’1,5 per cento: questo non può essere - come dire - accettato,
perché stiamo parlando di persone che hanno già evaso e hanno ammesso di aver evaso
nella misura in cui hanno riportato questi capitali nel Paese. Perché allora non sfruttare
l’occasione per aumentare almeno del tre per cento? Io avrei preferito un altro cinque
per cento… In fondo, a questi grossi capitali cosa gliene viene di pagare anziché
il 5, il 10 per cento? Rimarrebbero ricchi egualmente. Avremmo così rastrellato quelle
risorse che potrebbero andare agli altri capitoli di cui ho fatto parola. In conclusione,
i saldi come ho detto devono rimanere immutati - questo è un vincolo - ma all’interno
di questo vincolo si può agire. Questo, comunque, è il mio augurio.
La
crisi finanziaria che ha messo in ginocchio molti degli Stati più ricchi del mondo
e che ha acceso il dibattito sulla solidità stessa dell’economia europea, ha anche
segnato il destino degli Obiettivi del Millennio individuati dalla comunità internazionale.
L’assenza di risorse ha, infatti, drasticamente ridotto e in alcuni casi annullato
i progetti della cooperazione allo sviluppo in favore dei Paesi più poveri. Una situazione
che rischia di innescare in molti casi un circolo vizioso che non mancherà di avere
forti ripercussioni anche sui paesi donatori. Il nuovo governo Monti sembra sul punto
di inaugurare una nuova stagione anche in questo specifico settore, affidato alla
guida del ministro Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Sulle
speranze e le attese del mondo delle organizzazioni non governative impegnate nella
cooperazione internazionale, Stefano Leszczynski ha intervistato Sergio
Marelli, presidente della Focsiv, la Federazione che riunisce gli organismi cristiani
di servizio internazionale volontario:
R. - La situazione
dalla quale dovrà partire il neoministro Andrea Riccardi è una situazione che si può
definire senza enfasi “disperata”: mai così poche risorse come con la finanziaria
approvata dal governo Berlusconi, mai un’Italia così assente negli scenari internazionali.
E quindi ora bisognerà vedere nei prossimi giorni, anche a seguito di questa manovra,
con quante risorse e con quale autonomia egli potrà operare.
D. – Di
cosa ha bisogno il mondo della cooperazione internazionale: qual è il bilancio e soprattutto
qual è l’impegno?
R. – Sicuramente, oggi il mondo della cooperazione
ha anche bisogno di risorse. Ha bisogno di finanziamenti pubblici, non perché questi
siano essenziali per la sua sopravvivenza, come spesso erroneamente si pensa, ma perché
sarebbe un po’ strano che l’Italia - al contrario di tutti gli altri Paesi europei
che stanno contemporaneamente vivendo la stessa crisi finanziaria economica globale
- non stanziasse delle risorse per la cooperazione internazionale. Quindi, io mi aspetto
che il nuovo governo Monti, volendosi riallineare con l’Europa, lo faccia anche in
materia di cooperazione e di volontariato internazionale, stanziando una somma congrua
per poter ridare almeno un po’ di ossigeno per il prossimo anno a queste attività
di solidarietà con i Paesi poveri del Sud del mondo.
D. – Anche perché,
quando parliamo di cooperazione internazionale, ovviamente non si parla solamente
di opere caritative o di assistenza: sono progetti che poi hanno una ricaduta positiva
anche sul sistema del Paese che le produce...
R. – Tutt’altro che assistenza,
tutt’altro che filantropia. Questi anni hanno dimostrato come un’attività intensa
ed efficace di cooperazione internazionale sia stata un biglietto da visita anche
per il sistema-Paese Italia. In molti casi addirittura, la presenza dell’Italia in
alcuni Paesi è determinata fondamentalmente solo dalla cooperazione internazionale
e dalla cooperazione delle Ong in modo particolare.
D. – Per quanto
riguarda la cooperazione internazionale, da parecchi anni c’era un preciso impegno
a stanziare una quota del prodotto interno lordo in favore di questi progetti: una
cosa che non è mai avvenuta...
R. – C’era l’impegno assunto anche dall’Italia,
come da tutti gli altri Paesi donatori nei confronti della comunità internazionale,
di stanziare lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo per la cooperazione internazionale.
Quello che c’è in ballo è la vita di miliardi di persone: un abitante su sette del
nostro pianeta oggi ancora lotta con il bisogno, con l’obiettivo di trovare il cibo
necessario per se stesso e per la propria famiglia. (bi)