Premio volontariato Focsiv 2011 a Riccardo Giavarini: una vita in difesa dei diritti
umani in America latina
In vista della Giornata Mondiale del Volontariato del 5 diecmbre si è svolta questa
mattina a Roma la cerimonia di assegnazione del Premio del volontariato internazionale
FOCSIV 2011. Presente anche il cardinale Peter Turkson presidente del Pontificio Consiglio
della Giustizia e della Pace. Il volontario premiato quest’anno è Riccardo
Giavarini, impegnato con la Focsiv da 35 anni in America Latina, nel Progetto
Mondo-Mlal. Cinquantaseienne bergamasco, Riccardo ha promosso nella città di La Paz
in Bolivia la costruzione e l’avvio delle attività del primo carcere minorile boliviano,
un Centro rieducativo per minori che prevede percorsi di reintegro dei giovani detenuti
e un loro reale percorso di cambiamento. Gabriella Ceraso gli ha chiesto cosa
lo ha spinto a iniziare l’avventura del volontariato:
R. – La
famiglia, il seminario e la comunità Nazareth – un gruppo di amici che hanno sul serio
fatto comunità nell’accogliere gruppi di persone con difficoltà -, mi hanno spinto
alla scelta di partire. C’è poi un contesto un po’ più ampio – ossia il Concilio Vaticano
II – che mi ha motivato a fare delle scelte radicali a livello di impegno nel mondo,
soprattutto per quanto riguarda i poveri. Un impegno che non può essere solo assistenzialismo
ma deve tradursi in politiche, in gesti che vadano a scalfire le strutture non funzionanti.
D.
– E per te quest’impegno sociale è sempre stato un impegno a difesa dei diritti umani.
Quali sono i contesti nei quali hai operato da quando sei in America Latina?
R.
– Quando sono arrivato in Bolivia i tempi erano quelli della dittatura. Cerchiamo
di far maturare il senso del diritto, della giustizia e della pace, che si traduce
poi in gesti di solidarietà verso chi soffre le conseguenze della dittatura. In Perù
l’esperienza è stata quella di un recupero di terre, di lotta per i gruppi di contadini:
per i loro diritti economici, di partecipazione e di organizzazione. Si vede come
la persona venga continuamente messa al margine e a prevalere siano gli interessi
economici e politici o anche di gruppi.
D. – Dal 2005 ti occupi invece del
reintegro di ragazzi giovani ed adolescenti che delinquono e che spesso sono in carcere
insieme agli adulti. Perché, in Bolivia, tanti minori si trovano in carcere?
R.
– Sono loro ad essere del tutto responsabili di questa delinquenza, ma è comunque
tutto il sistema a non funzionare. Non è un sistema organizzato per la protezione
e la difesa dei diritti di questi gruppi così vulnerabili. La società non permette
di accedere ai servizi di base, come ad esempio vivere in una casa. Se poi aggiungiamo
il fatto che la mamma è separata, non ci sono i riferimenti genitoriali, che per poter
sopravvivere si è obbligati a lasciare la scuola e ad andare a cercare qualsiasi tipo
di lavoro, è evidente che c’è tutta una serie di cause che inducono questi giovani
ed adolescenti a sopravvivere con i propri mezzi.
D. – Ma voi, come Progetto
Mondo Mlal, quanto riuscite a fare e cosa cambia nella vita di questi ragazzi che
aiutate?
R. – Da dieci anni abbiamo assunto questa sfida di accompagnare questi
ragazzi secondo tre linee. La prima è quella di essere presenti nelle carceri, la
seconda è lavorare in rete con altre istituzioni pubbliche e private. Infine, in questo
Centro di Qalauma abbiamo messo in piedi un modello educativo affinché attraverso
lo studio, il lavoro ed il trattar bene queste persone che hanno avuto un passato
così pieno di conflitti, si possa costruire un progetto educativo individuale. L’equipe
di educatori ed educatrici che abbiamo, pone al centro la persona - al di là del delitto
commesso o di qualsiasi sia il suo passato - per poter tornare sui binari di una convivenza
pacifica e giusta.
D. – Abbiamo parlato della tua opera. Questo contesto, che
è poi il contesto del Paese boliviano, in che cosa può cambiare?
R. – Direi
piuttosto che cos’é che sta cambiando. Nel senso che certamente ci sono segnali che
preparano un contesto migliore rispetto al passato. La partecipazione della gente,
l’esercizio della democrazia a partire dal basso, l’inclusione di gruppi sociali molte
volte esclusi e dimenticati, adesso, invece, sono maggiormente protagonisti, presi
in considerazione ed appoggiati. Questo, lo ripeto, non vuol dire che i problemi siano
risolti, anzi: sono ancora molto presenti e ci vorranno ancora processi da costruire
e da appoggiare poco e poco. (vv)