Giornata mondiale contro l'Aids: 34 milioni i casi nel mondo, ma i contagi sono in
calo
Oggi, Giornata mondiale di lotta contro l’Aids, si rinnova l’impegno in tutto il mondo
per accrescere la consapevolezza della gravità di un’epidemia che colpisce circa 34
milioni di persone in 33 Paesi, di cui 22 solo nell’Africa sub sahariana, seppur si
aggravi la situazione anche nell’Asia meridionale e nel sudest asiatico. Questo secondo
l’ultimo Rapporto dell'Agenzia Onu “UnAids”, che punta entro il 2015 all’Obiettivo
Zero: zero nuove infezioni, zero discriminazioni, zero morti. Infatti il numero dei
contagi continua a calare e sempre più persone hanno accesso ai trattamenti salvavita.
Il servizio è di Gabriella Ceraso:
Sono circa
34 milioni le persone affette dal virus dell’Hiv nel mondo, stando ai dati ONU, almeno
fino al 2010. Un più 17% rispetto al Rapporto del 2001: un numero, dunque, ancora
enorme. Ma si muore di meno: in dieci anni dal 2000, si è passati da oltre 2 milioni
di decessi a 1,8, e solo l’anno passato sono stati evitati 700mila morti. Ci si ammala
anche meno. Le Nazioni Unite calcolano che ci sia un 21% in meno di nuove infezioni
dal 1997. “Migliora la sinergia tra prevenzione e trattamenti antiretrovirali, cui
ormai accede quasi la metà delle persone che ne necessita - scrive oggi il segretario
generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, nel messaggio per questa giornata - ma
per arrivare a debellare la malattia occorre ancora molto lavoro”. L’infettivologo
Andrea Gori:
“La terapia ha fatto miracoli in questi anni
ed è riuscita a controllare della patologie correlate all’infezione Hiv: questo è
un dato assolutamente positivo. Da un altro punto di vista, però, c’è invece il continuare
della diffusione della malattia nei giovani. L’epidemiologia negli anni è cambiata:
non si tratta più di tossicodipendenti, non si tratta più di omosessuali, ma abbiamo
davanti una infezione che si trasmette prevalentemente attraverso rapporti eterosessuali”.
Gli
esperti lamentano anche un calo dell’allarme mediatico nel mondo e le persone che
hanno comportamenti a rischio – dicono - non fanno più il test e metà dei sieropositivi
oggi non sa di esserlo. Ancora Andrea Gori:
“Bisogna
sottoporsi al test; bisogna avere conoscenza della propria situazione!”.
La
geografia del virus vede l’Africa subsahariana ancora in testa: il 68% della popolazione
ne è affetta e da qui parte il 70% delle nuove infezioni, sebbene esse siano calate
del 26% rispetto al picco del 1997. Carlo Vavassori opera contro
l’aids in africa, in Zimbabwe, per l’Ong Cesvi:
“Bisogna partire dalla
sensibilizzazione e dall’educazione, ma bisogna però avere anche degli interventi
che integrino questo aspetto perché una persona può essere a conoscenza del problema,
ma se poi non ha le risorse per affrontarlo: se devo scegliere se dare da mangiare
ai miei figli o camminare per tre ore per raggiungere la clinica e prendere la terapia
antiretroviarle, non ho scelta!”.
Sconcertante è il dato relativo alla
diffusione del virus nell’Europa dell’Est e in Asia centrale, dove gli infettati -
attraverso il consumo di droghe e la trasmissione sessuale - sono aumentati del 250%
tra il 2001 e il 2010. Russia e Ucraina sono in testa. In crescita i dati anche in
Oceania, Medio oriente e Africa del Nord. Stabile, invece, la diffusione del virus
nelle altre regioni del mondo: in Italia, ieri il Ministero ha lamentato diagnosi
tardive, che ostacolano le cure in uno scenario che vede ogni tre ore un malato in
più e 3.000 nuovi casi ogni anno. E’ indubbio, però, che la malattia si possa sconfiggere:
il Cesvi da dieci anni porta avanti in Africa e in Vietnam la campagna per la prevenzione
del contagio madre-figlio con ottimi risultati. Ancora Carlo Vavassori:
“Progressi
sulla terapia ce ne sono: dal 2009 ad oggi c’è un incremento superiore al 20 per cento
del numero delle madri che vengono inserite in questo protocollo”.