I martiri campioni della fede e le testimonianze archeologiche al cuore della Seduta
pubblica delle Pontificie Accademie
“Testimonianze e testimoni. I Martyria e i campioni della fede”: il tema della Seduta
pubblica delle Accademie Pontificie, ospitata nel pomeriggio nel Palazzo S. Pio X
in Via della Conciliazione a Roma. L’incontro è organizzato dal Pontificio Consiglio
della Cultura e dal Consiglio di coordinamento fra le Accademie. Roberta Gisotti
ha intervistato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente degli enti promotori:
D. – Cardinale
Ravasi, un appuntamento atteso quello della Seduta pubblica delle Accademie Pontificie,
dedicato quest’anno ai martiri campioni della fede e alle testimonianze archeologiche.
Eminenza, lei introdurrà i lavori: quali aspetti porrà in risalto?
R.
– Innanzitutto ricordiamo che son ben sette le Accademie Pontificie che, da angolature
diverse, si interessano di temi teologici e culturali in senso lato. Quest’anno vengono
coinvolte due Accademie specifiche, che sono quella cosiddetta “Cultorum Martyrum”,
che si preoccupa cioè del culto dei martiri romani, in particolare nelle catacombe,
e la Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Il cuore di questa celebrazione è
legato proprio a due parole italiane, che sono nel titolo della Seduta stessa, e che
sono significative pur nella loro vicinanza, nella loro assonanza, nella loro radice
comune e sono “testimonianze” e “testimoni”. La testimonianza è quella viva dei martiri,
i quali - con la loro storia, col loro sangue, con la loro esistenza e con la memoria
successiva - costituiscono una continua e ininterrotta presenza della fede nelle nostre
comunità fino ai nostri giorni, perché – come ben sappiamo - martiri ancora ci sono.
L’altra parola è “testimoni”: i testimoni possono essere anche dei documenti che noi
abbiamo, dei materiali che possono essere affidati, per esempio, alla pietra, che
possono essere affidati ad elementi artistici, che possono essere affidati anche –
alcune volte – a dei monumenti. Ecco allora la dimensione archeologica: quindi due
elementi, la storia e la testimonianza archeologica, il documento archeologico che,
insieme, si incontrano in questa celebrazione.
D. - Un passato indagato
che deve servirci ad interpretare il presente?
R. – C’era un grande
filologo e studioso del secolo scorso, che si chiamava Giorgio Pasquali, il quale
– in una sua opera del 1920 – aveva formulato questa dichiarazione: “Chi non ricorda,
non vive”. Effettivamente ricordare vuol dire avere un’identità; avere una memoria
vuol dire anche sapere chi siamo, da dove veniamo, quali sono le nostre radici. Ebbene
noi viviamo in un’epoca, purtroppo, di smemoratezza ed è significativo perciò ritornare
a queste antiche origini, a queste antiche radici per ritrovare ancora la nostra identità,
che era fatta di figure coraggiose, coerenti, con un profilo netto nell’interno della
loro esistenza; e, dall’altra parte, era fatto anche di componenti artistiche e quindi
di bellezza, di manifestazione esteriore, ma che era anche viva, incisiva nel tessuto
culturale di un popolo. Questi elementi sono alla base anche di questa giornata.
D.
– Sappiamo che il cardinale Bertone leggerà un messaggio di Benedetto XVI e consegnerà
il Premio delle Pontificie Accademie: possiamo avere qualche anticipazione?
R.
– Sì, posso anticipare che uno dei premiati è lo Studio Archeologico Francescano della
Flagellazione di Gerusalemme, che non solo ha custodito i luoghi santi cristiani,
ma che ha anche – attraverso l’impegno archeologico – cercato di riportarne in luce
la bellezza, la memoria, la ricchezza documentaria e monumentale. In questa luce la
presenza dei Francescani di Terra Santa, che saranno rappresentati anche dal loro
Superiore, che è il padre Pizzaballa, è un modo per affermare anche che l’orizzonte
è molto vasto, perché le testimonianze prime, la memoria prima sono in quella terra,
nella Terra Santa. (mg)