Mostra dei “100 Presepi” a Roma. Il cardinale Comastri: il Natale è la ragione dell'ottimismo
cristiano
Compie 36 anni la tradizionale esposizione natalizia “100 Presepi”, organizzata a
Roma da “La Rivista delle Nazioni”. La mostra, inaugurata stamani dal cardinale Angelo
Comastri, vicario generale di Sua Santità per la Città del Vaticano, sarà visitabile
fino all’8 gennaio nelle Sale del Bramante in Piazza del Popolo. Il servizio di Amedeo
Lomonaco:
Sono 178
i presepi che compongono il percorso della mostra. Sono realizzati con diverse tecniche,
vari materiali e stili. Sono fatti con foglie di granturco o di banano, con cristalli,
con strumenti musicali, con il pane e con le cravatte o perfino con chiodi, viti e
bulloni. Alcuni - ricorda la rivista diocesana “RomaSette” -richiamano lo stile del
‘700 napoletano e altri ancora sono ambientati in un borgo palestinese o in una conchiglia.
Nel corso dell’inaugurazione, stamani, i bambini della scuola dell’infanzia “Mariano
Romiti” hanno presentato il presepe vivente creato sul tema “Italia Unita”, in onore
dei 150 anni d’Unità del Paese: a sfilare lungo le navate della basilica di Piazza
del Popolo tutte le regioni, rappresentate dai bambini tra i 3 e i 4 anni. Nell’ambito
dell’esposizione, che rimarrà aperta tutti i giorni compresi i festivi, si terrà anche
il laboratorio “Il presepe come gioco” dedicato ai bambini dai 4 agli 11 anni. La
mostra – ricordano i promotori - è una rassegna d'arte presepiale iniziata nel 1976
per riaffermare una tradizione tipicamente italiana e promuovere i valori della pace
e della fratellanza.
Ma qual è il significato del presepe nella società
di oggi? Andrea Gabriel Burla lo ha chiesto al cardinale Angelo Comastri:
R. – In questo
tipo di società consumistica, il Presepe acquista un’attualità impressionante. Oggi
noi pensiamo che i divertimenti rendano felici. Madre Teresa di Calcutta, una donna
che capiva il messaggio di Betlemme, diceva che la segnaletica della felicità oggi
è tutta sbagliata, che andrebbe tutta ricorretta, e Betlemme è la segnaletica giusta.
Con il mistero di Betlemme, Dio ci ricorda che la ricchezza non è la causa della felicità.
Il richiamo alla povertà è particolarmente benefico.
D. – Valorizzare
le tradizioni per affrontare i problemi attuali, fermarsi a riflettere su ciò che
è veramente importante, può essere un punto di partenza per ricominciare da capo?
R.
– Non c’è dubbio. Racconto un‘esperienza personale. Quand’ero bambino nella mia famiglia
c’era questa usanza: dopo la Messa di Mezzanotte tornavamo a casa – noi bambini un
po’ assonnati – e c’era però qualcosa che ci attirava e ci elettrizzava, perché tornati
a casa la mamma metteva la statuetta della Madonna nella Grotta; il mio papà, che
era falegname, metteva la statua di San Giuseppe e noi bambini mettevamo Gesù Bambino.
Ebbene quella scena, dopo tanti anni – ormai sono passati più di 50 anni – io l’ho
ancora viva nella memoria ed è un’oasi di tranquillità, un’oasi di serenità, un’oasi
di ottimismo che mi rimane dentro. Il Natale è la ragione dell’ottimismo: se Dio è
con noi si può sperare, se Dio non è con noi, c’è da disperarsi e tanto. E il Natale
è questa notizia: Dio si è fatto uomo e da allora è possibile un’umanità nuova, è
possibile un uomo come San Francesco, è possibile una donna come Madre Teresa di Calcutta,
è possibile un uomo coraggioso come Giovanni Paolo II, perché Dio è nella storia,
è possibile un’umanità nuova. Per questo, per me, definirei il Presepe l’immagine
stessa dell’ottimismo. (ap)