Egitto: nuova giornata di proteste a Piazza Tahrir
E’ di 41 morti l’ultimo bilancio delle vittime causate dagli scontri in Egitto da
sabato scorso. E intanto è iniziata una nuova giornata di violente proteste contro
il regime militare, al potere dalla caduta di Mubarak. Oggi, venerdì di preghiera,
Piazza Tharir, al Cairo, è nuovamente affollata. Presente anche il candidato alla
carica di presidente, Mohamed El Baradei, personalità gradita ai dimostranti e a gran
parte della comunità internazionale. El Baradei nei giorni scorsi aveva denunciato
l’utilizzo di gas nervini contro i manifestanti. I "Fratelli musulmani" e altre organizzazioni
islamiste non partecipano all’iniziativa, appoggiando l’operato della giunta militare.
La comunità internazionale, intanto, esorta tutte le parti sociali egiziane ad uno
sforzo comune per uscire da una situazione drammatica, soprattutto il contesto civile.
Ci si chiede, tuttavia, se questo sia in grado di esprimere una leadership capace
di prendere in mano le redini del Paese. Giancarlo La Vella ne ha parlato con
Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dei Paesi africani all’Università
di Torino:
R. – È questo
uno dei problemi cruciali della situazione attuale dell’Egitto: da un lato ha un urgente
bisogno di andare al voto, di ripristinare una situazione democratica e stabile, e
dall’altro è sostanzialmente impreparato a questa scadenza, perché le forze che sono
state protagoniste della "primavera araba" e della caduta del pluridecennale regime
del presidente Hosni Mubarak, si stanno organizzando, ma avrebbero bisogno di più
tempo per definire meglio i loro programmi e soprattutto farsi conoscere, estendendo
la loro area di influenza politica al di fuori delle grandi città, nel resto del Paese.
D. – Per quale motivo l’apparato militare, che aveva appoggiato le
prime rivolte di piazza, viene ora invece identificato un po’ con il vecchio regime?
R.
– Perché in sostanza quello che è successo l’inverno scorso in Egitto è stato un colpo
di Stato: i militari hanno approfittato di una situazione favorevole ed hanno preso
il potere. La preoccupazione generale è che intendano, in un modo o nell’altro, mantenerlo
con delle aggravanti, perché - ad esempio - è in corso di discussione la proposta
di trasformare l’esercito nel garante della democrazia. Questa proposta ha suscitato
viva preoccupazione e la risposta di molti è che questo non preluda niente di buono,
tanto più che uno degli strumenti già annunciati, è quello che dovrebbe garantire
all’esercito la possibilità di esprimere il veto sulle prossime modifiche della Costituzione,
nel caso l’esercito non le consideri opportune e soddisfacenti.
D. –
Un esercito un po’ sul modello di quanto avviene in Turchia, garante della Costituzione…
R.
– Sì, potrebbe essere. L’altro fattore di preoccupazione che, comunque rende instabile
e difficile la situazione egiziana, è il ruolo dei "Fratelli musulmani". Questo partito
islamista, nonostante tutte le garanzie di un prevalere delle correnti più moderate,
è comunque un partito islamista che potrebbe orientare l’Egitto in una direzione integralista.
In sostanza, in questo momento e da mesi, il Paese - malgrado l’importanza che hanno
avuto in questi mesi le forze rivoluzionarie e i protagonisti della "primavera araba"
- è in balia di questi due poteri: da un lato l’esercito che lo detiene dall’11 febbraio,
quando è caduto il regime di Mubarak, e dall’altro i "Fratelli musulmani", che sono
la forza di opposizione al regime precedente più organizzata, più strutturata e quindi
più visibile e che prevedibilmente otterrà dei buoni, forse degli ottimi risultati
alle prossime elezioni, che - ripeto - sono elezioni che si svolgeranno in un arco
di tempo molto lungo. È proprio su questo che si incentra la protesta di questi giorni:
abbreviare un processo che porti alla democrazia, all’elezione finale del presidente
e garantire che questo processo si verifichi regolarmente e nei tempi previsti. (bi)