2011-11-23 15:06:58

Yemen. Saleh pronto a firmare la rinuncia, ma scoppia la protesta per le garanzie ottenute dal presidente


Migliaia di persone hanno manifestato oggi a Sana’a, capitale dello Yemen, per protestare contro le garanzie di immunità che saranno concesse al presidente Ali Abdullah Saleh nell’ambito dell’accordo sul trasferimento di poteri al suo vice, Abd-Rabbo Mansour Hadi. L’intesa - proposta in primavera dai Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, in accordo con l’opposizione yemenita -è stata firmata oggi a Riad, dov’è giunto Saleh, dopo oltre 10 mesi di proteste di piazza per chiedere la fine di 33 anni di potere incontrastato del presidente. Il piano, monitorato dall’inviato dell’Onu in Yemen, Jamal Benomar, prevede il trasferimento delle funzioni, ma Saleh rimarrebbe presidente a titolo onorifico per 90 giorni, mentre Hadi sarebbe capo di Stato per due anni: dopo tale scadenza, verrebbero organizzate nuove elezioni presidenziali e legislative. Ma c’è il rischio che, attraverso tale processo, Saleh continui a influenzare il futuro dello Yemen? Al microfono di Giada Aquilino risponde Renzo Guolo, docente di Sociologia dell’Islam all’Università di Padova:RealAudioMP3

R. - Sì, questo è il rischio. In effetti, Saleh fino ad ora ha negoziato garanzie per lui e per la sua famiglia: non a caso, appunto, si prevede l’immunità anche per i suoi parenti. Il rischio c’è e non è detto che le manifestazioni di protesta non proseguano nei prossimi giorni, proprio perché questa sorta di uscita “rateizzata” non va certo incontro alle esigenze dei manifestanti e dei movimenti che in questi mesi si sono espressi per la sua uscita di scena.

D. - L’accordo prevede l’immunità da procedimenti giudiziari per Saleh ed i suoi parenti: a Sana’a i manifestanti sono già scesi in piazza, nelle ultime ore, per chiedere invece un processo per crimini contro l’umanità riguardo alla repressione degli oltre 10 mesi di proteste. A questo punto, che rischi ci sono?

R. - E’ evidente che non è pensabile che Saleh negozi concessioni di tutti i tipi; nei mesi scorsi, quando è stato curato in Arabia Saudita, avrebbe avuto la possibilità di rimanere fuori dal gioco, ma non ha voluto fare questa scelta perché evidentemente i suoi interessi politici, economici e anche “dinastici” sarebbero stati messi in gioco. Il problema è che un accordo al ribasso può rischiare di aumentare la conflittualità in un Paese che è già diviso, al suo interno, non solo sulla questione del presidente, appunto, ma anche in termini di scontri tra clan e tribù ed è pure minacciato a Sud da altre forze della penisola arabica.

D. - L’opposizione, che - è stato detto - ha già firmato l’intesa, appare comunque frammentata e non è chiaro quali gruppi abbiano sostenuto il piano di trasferimento dei poteri. Quale panorama politico si prospetta?

R. - L’opposizione è molto frammentata: ricordiamo che ci sono varie posizioni all’interno e che una parte dell’opposizione è stata raggiunta recentemente anche dal potente capo tribale Sadek al-Ahmar. Si capisce che ci sono inoltre questioni legate alle posizioni da prendere nei prossimi mesi, proprio per ereditare il potere in questo Paese ormai devastato da conflitti interni di grande portata. Il problema vero è che, come abbiamo visto spesso in altre vicende che potremmo ricondurre generalmente a quella che definiamo “primavera araba”, le opposizioni sono sempre unite nella lotta alla cacciata al tiranno, ma hanno pochissime idee su come proseguire nel dopo.

D. - Oggi lo Yemen che Paese è?

R. - E’ un Paese diviso, con una grande crisi economica, pesantemente ipotecato dalla presenza di al Qaeda e dalla decisione degli Stati Uniti di combattere duramente questa organizzazione anche in territorio yemenita. E’ un Paese che in qualche modo deve tenere conto della propria posizione in un’area strategica rilevantissima per quanto riguarda sia gli approvvigionamenti energetici, sia il contesto geopolitico regionale, che nei prossimi mesi altre questioni - da un possibile conflitto nucleare iraniano all’esplodere potenziale della protesta anche in altre parti della penisola - potrebbero mettere veramente a rischio. (gf)







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