Egitto: oltre 40 vittime negli scontri tra manifestanti e forze dell'ordine
Terzo giorno di scontri in Egitto ed il bilancio delle vittime continua a salire:
oltre 40, finora, i morti e centinaia i feriti. Epicentro delle proteste ancora una
volta piazza Tahrir, al Cairo, dove la polizia sta affrontando i dimostranti che chiedono
al potere militare di farsi da parte e consentire la transizione democratica nel Paese.
Dimostrazioni si segnalano anche ad Alessandria e a Suez. Intanto, mentre l'Ue chiede
calma e moderazione, è stato convocato un Consiglio dei Ministri straordinario: sul
tavolo, decisioni urgenti per evitare che la situazione degeneri in guerra civile.
Sulle motivazioni dello scontro, Giancarlo La Vella ha intervistato Enrico
Casale, esperto di Africa della rivista dei Gesuiti “Popoli”, da poco rientrato
dall’Egitto:
R. – I ragazzi,
che sono stati protagonisti della rivolta scoppiata in gennaio, temono che i miliari
si impossessino di questa rivolta: per questo sono tornati in piazza. Questa volta,
però, l’esercito non li ha sostenuti, ma li ha contrastati.
D. – Alla
Comunità internazionale interessa che il processo democratico in Egitto vada avanti,
ma i numerosi appelli che speranza hanno di essere accolti?
R. – Certamente
le forze armate, che hanno avuto un ruolo importante nella rivolta, tendono a voler
mantenere la loro posizione di privilegio, che – ricordiamolo – non riguarda solamente
il puro settore della difesa: le forza armate hanno interessi in tutti i settori della
vita economica e sociale del Paese. Di conseguenza, c’è il rischio che le forze armate
boicottino il processo democratico… Molto dipenderà dal fatto che la Comunità internazionale
riesca a fare pressioni sulla giunta militare e sul governo affinché si proceda il
più velocemente possibile alle elezioni – il primo turno è previsto per la prossima
domenica – e altrettanto celermente si proceda all’elezione di un presidente della
Repubblica civile e non militare.
D. – Secondo alcuni osservatori, le
Forze Armate si stanno muovendo per evitare il rischio fondamentalismo…
R.
– Va tenuto presente che il Fronte islamico non è un blocco unico: esiste una parte
minoritaria composta da persone fondamentaliste; poi esiste una maggioranza che è
rappresentata dalle formazioni legate ai Fratelli musulmani, che sono molto più pragmatici,
ma che non hanno intenzione di trasformare l’Egitto in un Iran… Quindi potrebbe esserci
una svolta, come è stato in Tunisia: la vittoria di formazioni musulmane, ma è anche
vero che potrebbe trattarsi di formazioni simili al partito di governo turco e quindi
un partito di ispirazione islamica, ma che rispetti fondamentalmente i principi di
uno Stato laico.
D. – Come stanno vivendo le comunità cristiane questa
situazione?
R. – Le Comunità cristiane vivono questa situazione in modo
diverso: i copti tendono a chiudersi all’interno della comunità e a diventare un nucleo
impermeabile al dialogo con le formazioni musulmane; diverso è, invece, l’approccio
dei cattolici che sono più aperti al dialogo, soprattutto con le fazioni più moderate
e più aperte dell’Islam. Sono molte le forme di collaborazione per creare una comunità
nazionale compatta, seppur nella diversità di fedi. (mg)