Argentina: la Chiesa denuncia il degrado delle condizioni di vita a Buenos Aires
Oltre la metà (51%) dei circa 13 milioni di persone che risiedono a Buenos Aires e
nella sua sterminata cintura urbana – pari al 32% della popolazione totale dell’Argentina
– ha un lavoro precario (il 26% è a rischio disoccupazione), mentre un’alta percentuale
di famiglie rischia addirittura di non soddisfare le proprie necessità alimentari
e non ha accesso all’assistenza sanitaria. Lo scenario emerge da un rapporto pubblicato
nel fine-settimana stilato dalla Chiesa cattolica, la Caritas nazionale e l’Osservatorio
del debito sociale dell’Università cattolica argentina (Uca)- ripreso dall'agenzia
Misna - che “rivela un’allarmante situazione di disuguaglianza sociale”. Il 10% delle
famiglie residenti nell’area metropolitana (Amba), che compernde la città autonoma
di Buenos Aires e il cosiddetto ‘conurbano’, secondo le stesse fonti vive in ‘villas
miserias’ (baraccopoli) o quartieri degradati, dove mancano acqua potabile e servizi
igienici; il 16% degli abitanti ha difficoltà a garantirsi un’adeguata alimentazione
– indice che nella capitale si riduce al 6% – il 29% non ha un’assicurazione sanitaria.
“Il superamento della povertà e dello scenario disuguale che presenta la principale
regione metropolitana del Paese, oltre ad essere un imperativo etico e morale per
coloro che concentrano nelle loro mani risorse politiche, economiche e sociali, è
una trasformazione possibile da realizzare su scala umana” afferma il documento, aggiungendo
che la strada va intrapresa “come priorità nella politica dello Stato”. Il panorama
dipinto dalla Chiesa confligge costantemente con i dati sulla povertà offerti dall’Indec,
l’Istituto nazionale di statistica e censimento, accusato dal 2007 da diversi settori,
dall’opposizione politica a istituti privati, di manipolare i numeri da quando il
governo dell’allora presidente Néstor Kirchner sostituì diversi funzionari modificando
anche il metodo di rilevazione. Secondo l’Indec, l’indice di povertà dell’Amba sarebbe
infatti sceso nel 2010 al 9,8%. (R.P.)