Gli Usa pronti ad aprire al Myanmar se proseguiranno le riforme. Obama: segni di progresso
dopo anni di buio
E’ arrivata anche l’esortazione del segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, al
presidente del Myanmar, Thein Sein, affinché prosegua sulla strada delle riforme democratiche
annunciate, in vista del 2014, quando l’ex Birmania guiderà l’Asean, l’associazione
delle Nazioni del sud-est asiatico. Il numero uno del Palazzo di Vetro ha pure annunciato
di voler effettuare ''il prima possibile'' un viaggio in Myanmar. Di sicuro in dicembre
sarà Hillary Clinton a compiere una visita nel Paese asiatico, la prima di un segretario
di Stato americano in 50 anni, così come annunciato dal presidente statunitense Barack
Obama che parla di segnali di progresso dopo anni di buio. Ma che messaggio è quello
lanciato da Washington? Giada Aquilino lo ha chiesto a Carlo Filippini,
studioso di sud-est asiatico e docente di Economia all’Università Bocconi di Milano:
R. - Un messaggio
- diciamo così - positivo, ma anche di attesa. Le dichiarazioni del governo degli
Stati Uniti sono abbastanza chiare: se il Myanmar continuerà sulla via delle riforme,
noi apriremo e saremo molto felici di aiutare questo percorso; se però si tratta semplicemente
di una misura “cosmetica” per farsi accettare nel contesto internazionale, il boicottaggio
continuerà ancora.
D. - E’ un caso che in questo momento l’Asean abbia
annunciato che nel 2014 la presidenza dell’organizzazione passerà proprio al Myanmar?
R.
- No, è anche in questo caso una concessione di fiducia forse un po’ troppo affrettata.
Dobbiamo ricordare che l’Asean aveva chiesto al Myanmar di non assumere la presidenza
cinque anni fa, quando in ordine alfabetico sarebbe toccato a quel Paese, perché l’Unione
Europea avrebbe boicottato tutti gli incontri con l’associazione. Non dobbiamo dimenticare
che nel sud-est asiatico e in genere nell’Asia orientale vale il principio ferreo
di non interferenza negli affari degli altri Paesi, quindi quella pressione cinque
anni fa sul Myanmar perché cedesse il turno di presidenza era già stato un avvenimento
eccezionale. L’Asean vede in questo cambio - ancora però molto superficiale - di governo,
di politica e via dicendo uno spiraglio positivo per applicare ancora in modo rigido
il principio di non interferenza.
D. - La giunta al potere in Myanmar
ha approvato delle modifiche alla legge elettorale: basteranno per assicurare i cosiddetti
standard democratici?
R. - Attualmente assolutamente no, perché il Parlamento
è in parte eletto e in parte nominato e gli ex militari sono ancora un numero molto
rilevante. Non si tratta assolutamente di elezioni libere e di elezioni democratiche
come le intendiamo in Europa e negli Stati Uniti. E per la verità non sono neanche
elezioni alle quali sono abituati i Paesi del sud-est asiatico.
D.
- Come leggere la decisione della Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu
Kyi di annunciare la partecipazione alle prossime elezioni?
R. - Si
tratta, penso, di un rischio calcolato. Aung San Suu Kyi si era rifiutata di partecipare
alle elezioni dello scorso anno, dicendo che erano illegali e non democratiche. Gli
spiragli di apertura, la maggior libertà di movimento, di parola, di interviste e
di viaggi fanno pensare al Premio Nobel per la Pace che ci sia una possibilità di
camminare verso una maggiore democrazia e intende in parte approfittarne e in parte
non opporsi a questo cammino verso la democrazia. (mg)