“Incomprensioni, Chiesa Cattolica e media”: la riflessione del cardinale Ravasi
“Incomprensioni, Chiesa Cattolica e media” è stato il tema dell'incontro svoltosi
nei giorni scorsi in Vaticano su iniziativa dell'Osservatore Romano, in occasione
del suo centocinquantesimo anniversario. Dopo un'introduzione, affidata al direttore
del quotidiano della Santa Sede, Giovanni Maria Vian, docenti universitari e giornalisti
di diverse testate internazionali, hanno tenuto relazioni dedicate ai temi che nella
storia del Pontificato hanno generato problemi di comprensione tra la Chiesa e il
mondo della comunicazione. A trarre le conclusioni è stato il cardinale Gianfranco
Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Fabio Colagrande
lo ha intervistato:
R. – Io ho
dovuto trarre le conclusioni di questo incontro, che è stato molto articolato, molto
ampio e soprattutto affidato a giornalisti – tra virgolette – laici: a persone cioè
che non avevano una funzione di loro natura apologetica, di autodifesa. C’erano rappresentanti
di “Le Figaro”, “The Guardian”, e “Die Welt”, giornali spagnoli e la
televisione spagnola. Quindi eravamo di fronte ad un ambito, ad un orizzonte molto
variegato, ma anche molto attento, che ha fatto delle analisi, alcune volte molto
rigorose, anche con tutta una serie di critiche ben puntuali e puntute anche. Io ho
voluto anche raccogliere, dando una sorta di pentagramma, le leggi generali da tenere
sempre presenti, tenendo conto della grande rivoluzione che è avvenuta nella comunicazione
ai nostri giorni, che non è più quella che – per esempio – si aveva al tempo dell’Humanae
Vitae o al tempo del Concilio, in cui dominava ancora la cosiddetta stampa. Ora noi
abbiamo la virtualità, l’informazione accelerata all’estremo, la televisione e l’immagine.
Ho dato alcune indicazioni che potrei riassumere in due volti, in due traiettorie
fondamentali. Da una parte, ricordare sempre che è indispensabile che il messaggio
cristiano dialoghi col mondo e quindi deve tener conto che può anche andare incontro
ad equivoci e deve soprattutto tener conto anche della difficoltà di comprensione
tante volte del nostro linguaggio, alcune volte autoreferenziale; ma deve anche essere
pronto ormai ad avere i canali di comunicazione ben precisi. Dall’altra parte, deve
essere però anche consapevole che questo dialogo non vuol dire scolorire e annullare
la dimensione del messaggio cristiano che di sua natura ha una forza anche di scandalo,
di provocazione. E’ un movimento, quasi, a due facce su due orizzonti: da un lato
ha grande apertura, sensibilità e attenzione; e, dall’altra parte, non deve scolorire
il proprio messaggio. Devo dire che anche in conclusione ha voluto evocare che questo
problema non è un problema soltanto nostro. Ho fatto riferimento alle Lettere Paoline
che sarebbero passibili di una lettura tutta riguardante i problemi critici che Paolo
ha dovuto affrontare nella comunicazione del suo messaggio. In tutte le Lettere ci
sono veramente delle questioni che sono quasi analoghe, anche se i temi sono diversi,
alle difficoltà che noi abbiamo dovuto attraversare. Tutte le volte – come ha fatto
Paolo – che si tenta di entrare nell’interno di un mondo in ebollizione, in mutamento
– com’era allora il mondo greco, com’è il mondo informatico attualmente – è inesorabile
che si debbano avere questi problemi. Fanno parte del movimento, della vita stessa,
ma devono essere accuratamente seguiti e vissuti. (mg)