Crisi somala. Mons. Bertin: “L’offensiva militare non basta”
“L’opzione militare, da sola, non basta. Lo ha dimostrato il passato recente e lo
sanno coloro che operano quotidianamente, e da anni, nel contesto somalo la cui crisi
presenta infinite sfaccettature”, così mons. Giorgio Bertin, amministratore apostolico
di Mogadiscio, vescovo di Gibuti e presidente di Caritas Somalia, alla vigilia dell’incontro
di tutte le organizzazioni Caritas attive in Somalia, che si terrà domani a Nairobi
in Kenya. Interpellato dall'agenzia Misna, mons. Bertin si è detto “perplesso” della
decisione keniana di inviare truppe oltre il confine somalo seppure in seguito ai
ripetuti attacchi di gruppi armati nelle regioni settentrionali del Kenya. “La storia
somala ha dimostrato quanto possano rivelarsi problematici gli interventi militari
esterni nel Paese” osserva il vescovo, sottolineando che finora le operazioni militari
hanno provocato vittime tra i civili e aggravato la situazione umanitaria “perché
la sicurezza, in molte aree non è più garantita”. D’altro canto, aggiunge il presule,
“gli Shebab hanno reso la vita impossibile alle popolazioni locali, contribuendo ad
affamare la loro stessa gente”. “Di certo quest’offensiva sta cambiando, in modo non
del tutto prevedibile, lo scenario regionale riguardo al conflitto somalo” osserva
il religioso, sottolineando che “in questa situazione, il fattore tempo sarà decisivo”.
E proprio riguardo il coinvolgimento di diversi attori regionali sullo scacchiere
somalo, non ultimo dei quali Gibuti, che ha annunciato la scorsa settimana l’invio
di 850 militari per sostenere la missione dell’Unione Africana in Somalia (Amisom),
il presule avverte: “Se la comunità internazionale non si concentrerà anche sui fronti
economico, sociale e umanitario, sarà difficile riaccendere la luce della speranza”.
(M.G.)