Tra le sfide per la nuova Libia resta in primo piano la questione migrazioni
Alla Libia negli ultimi anni è stata spesso collegata la questione immigrazione. A
lungo, infatti, proprio dalle coste libiche partivano uomini e donne africani in fuga
dai loro Paesi, alla volta dell’Europa. Una situazione a volte contenuta, altre favorita
da Gheddafi. Molti anche i lavoratori stranieri presenti in Libia, ma vessati durante
il recente conflitto. Caduto ora il regime, è possibile prevedere che qualcosa cambierà
nei flussi migratori? Adriana Masotti lo ha chiesto a Gabriele Del Grande,
di Fortress Europe:
R. – Diciamo
che sicuramente non cambierà il fabbisogno interno di manodopera straniera della Libia.
La Libia è un Paese che negli ultimi anni ha conosciuto un boom straordinario e quindi
c’è da immaginare che i 650 mila stranieri che hanno abbandonato la Libia per mettersi
in salvo dalla guerra, dei quali solo 30 mila sono arrivati in Italia, mentre gli
altri sono finiti in Tunisia, in Egitto, in Niger, in Ciad, torneranno tutti in Libia
a lavorare; probabilmente, anche altri si aggiungeranno nei prossimi mesi o anni.
Quello che succederà, rispetto alla rotta che negli anni passati ha portato alcune
decine di migliaia di persone in Italia, è tutto da vedere. Infatti, ricordo che da
quando è caduta Tripoli – era il 20 agosto scorso – non è più arrivato nessuno, dalla
Libia, a Lampedusa.
D. – Sappiamo delle strutture di detenzione che
esistono in territorio libico, dove tanti, in fuga dai loro Paesi, sono stati rinchiusi
rimanendo per anni, subendo maltrattamenti; strutture dove non era permesso l’ingresso
dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati. C’è speranza che questa situazione
veda dei cambiamenti?
R. – Io sono convinto di sì. Nel senso che, se
da un lato c’è da aspettarsi che il governo transitorio libico, o comunque i rappresentanti
della Libia continueranno a fare accordi con l’Europa, continueranno in qualche modo
quindi a gestire anche la questione immigrazione, tuttavia, credo che le condizioni
di detenzione sicuramente miglioreranno. Io ho avuto modo di vederlo l’ultima volta
che sono stato in Libia, un mese fa. Ho incontrato prigionieri sia nelle carceri libiche
sia negli ospedali, feriti di guerra delle milizie di Gheddafi che venivano comunque
curati negli ospedali, in condizioni sicuramente molto più che dignitose rispetto
a quello che accadeva prima. Il regime di Gheddafi è stato un regime che nelle carceri
esprimeva il peggio di sé, sia con i detenuti stranieri e forse ancora di più con
i detenuti libici. Quando Tripoli è stata liberata, più di 5 mila prigionieri politici
libici sono stati rilasciati e tutti hanno raccontato dell’orrore: che non c’era uno
Stato di diritto, che non c’erano avvocati, c’erano continui abusi, continue torture
…
D. – Durante il conflitto di questi mesi, a pagare le conseguenze
negative in termini di paura, perdita di lavoro, discriminazione sono stati in particolare
gli immigrati africani considerati alleati del colonnello. Per loro si apre una speranza
nuova di convivenza pacifica, ora?
R. – Sicuramente rimane aperta una
ferita, nel senso che è un dato di fatto che sono state impiegate diverse centinaia
di mercenari africani nella guerra combattuta da Gheddafi contro il suo popolo; ad
agosto ne abbiamo anche incontrati alcuni nelle carceri, quando ci sono state le retate,
a Tripoli, dopo la fuga delle milizie di Gheddafi. E’ vero che buona parte delle persone
arrestate non c’entravano niente: erano state arrestate soltanto per il colore della
pelle. Speriamo veramente che, in futuro, si possa in qualche modo sanare questa ferita.
E’ vero anche che la questione è comunque complessa, nel senso che la società libica
è una società che in questi anni ha vissuto, ha partecipato a questo razzismo quasi
infantile contro i neri, ma allo stesso tempo è una società mista, nel senso che la
stessa società libica è una società che nelle zone del Sud ha una popolazione in maggioranza
nera, al punto che tra quelli che sono stati arrestati ad agosto a Tripoli – gli africani
ritenuti mercenari, pur senza prove – c’erano anche libici neri!
D.
– Anche per le organizzazioni internazionali umanitarie, ci sarà un grande impegno
per vigilare su quello che succederà …
R. – Il primo impegno, in realtà,
è per la società libica, questa è la cosa più interessante. In questi mesi si è parlato
soprattutto della guerra, dei militari, dei rivoluzionari … in realtà, la vera rivoluzione
che è accaduta è la nascita della società civile. Ai tempi di Gheddafi era vietato
tutto, non c’era la stampa privata, non c’erano neanche le associazioni, non c’era
praticamente niente. Adesso sta rinascendo tutto. Ci sono grossi finanziamenti in
arrivo da parte degli stessi libici, da parte di fondi arabi; si investe su tutto:
dalle radio, alle televisioni, ai giornali, alle associazioni di donne, alle associazioni
per i bambini. Gli stessi libici residenti all’estero che da Manchester in Inghilterra,
come da Malta o da Dubai hanno fatto arrivare tutto quello che serviva … Questo, secondo
me, è un segnale positivo. Per cui, se da un lato la società internazionale in qualche
modo sorveglierà su quello che succede in Libia, la cosa più interessante è che gli
stessi libici stanno prendendo in mano il destino del loro Paese. (gf)