2011-11-01 09:47:17

Tra le sfide per la nuova Libia resta in primo piano la questione migrazioni


Alla Libia negli ultimi anni è stata spesso collegata la questione immigrazione. A lungo, infatti, proprio dalle coste libiche partivano uomini e donne africani in fuga dai loro Paesi, alla volta dell’Europa. Una situazione a volte contenuta, altre favorita da Gheddafi. Molti anche i lavoratori stranieri presenti in Libia, ma vessati durante il recente conflitto. Caduto ora il regime, è possibile prevedere che qualcosa cambierà nei flussi migratori? Adriana Masotti lo ha chiesto a Gabriele Del Grande, di Fortress Europe:RealAudioMP3

R. – Diciamo che sicuramente non cambierà il fabbisogno interno di manodopera straniera della Libia. La Libia è un Paese che negli ultimi anni ha conosciuto un boom straordinario e quindi c’è da immaginare che i 650 mila stranieri che hanno abbandonato la Libia per mettersi in salvo dalla guerra, dei quali solo 30 mila sono arrivati in Italia, mentre gli altri sono finiti in Tunisia, in Egitto, in Niger, in Ciad, torneranno tutti in Libia a lavorare; probabilmente, anche altri si aggiungeranno nei prossimi mesi o anni. Quello che succederà, rispetto alla rotta che negli anni passati ha portato alcune decine di migliaia di persone in Italia, è tutto da vedere. Infatti, ricordo che da quando è caduta Tripoli – era il 20 agosto scorso – non è più arrivato nessuno, dalla Libia, a Lampedusa.

D. – Sappiamo delle strutture di detenzione che esistono in territorio libico, dove tanti, in fuga dai loro Paesi, sono stati rinchiusi rimanendo per anni, subendo maltrattamenti; strutture dove non era permesso l’ingresso dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati. C’è speranza che questa situazione veda dei cambiamenti?

R. – Io sono convinto di sì. Nel senso che, se da un lato c’è da aspettarsi che il governo transitorio libico, o comunque i rappresentanti della Libia continueranno a fare accordi con l’Europa, continueranno in qualche modo quindi a gestire anche la questione immigrazione, tuttavia, credo che le condizioni di detenzione sicuramente miglioreranno. Io ho avuto modo di vederlo l’ultima volta che sono stato in Libia, un mese fa. Ho incontrato prigionieri sia nelle carceri libiche sia negli ospedali, feriti di guerra delle milizie di Gheddafi che venivano comunque curati negli ospedali, in condizioni sicuramente molto più che dignitose rispetto a quello che accadeva prima. Il regime di Gheddafi è stato un regime che nelle carceri esprimeva il peggio di sé, sia con i detenuti stranieri e forse ancora di più con i detenuti libici. Quando Tripoli è stata liberata, più di 5 mila prigionieri politici libici sono stati rilasciati e tutti hanno raccontato dell’orrore: che non c’era uno Stato di diritto, che non c’erano avvocati, c’erano continui abusi, continue torture …

D. – Durante il conflitto di questi mesi, a pagare le conseguenze negative in termini di paura, perdita di lavoro, discriminazione sono stati in particolare gli immigrati africani considerati alleati del colonnello. Per loro si apre una speranza nuova di convivenza pacifica, ora?

R. – Sicuramente rimane aperta una ferita, nel senso che è un dato di fatto che sono state impiegate diverse centinaia di mercenari africani nella guerra combattuta da Gheddafi contro il suo popolo; ad agosto ne abbiamo anche incontrati alcuni nelle carceri, quando ci sono state le retate, a Tripoli, dopo la fuga delle milizie di Gheddafi. E’ vero che buona parte delle persone arrestate non c’entravano niente: erano state arrestate soltanto per il colore della pelle. Speriamo veramente che, in futuro, si possa in qualche modo sanare questa ferita. E’ vero anche che la questione è comunque complessa, nel senso che la società libica è una società che in questi anni ha vissuto, ha partecipato a questo razzismo quasi infantile contro i neri, ma allo stesso tempo è una società mista, nel senso che la stessa società libica è una società che nelle zone del Sud ha una popolazione in maggioranza nera, al punto che tra quelli che sono stati arrestati ad agosto a Tripoli – gli africani ritenuti mercenari, pur senza prove – c’erano anche libici neri!

D. – Anche per le organizzazioni internazionali umanitarie, ci sarà un grande impegno per vigilare su quello che succederà …

R. – Il primo impegno, in realtà, è per la società libica, questa è la cosa più interessante. In questi mesi si è parlato soprattutto della guerra, dei militari, dei rivoluzionari … in realtà, la vera rivoluzione che è accaduta è la nascita della società civile. Ai tempi di Gheddafi era vietato tutto, non c’era la stampa privata, non c’erano neanche le associazioni, non c’era praticamente niente. Adesso sta rinascendo tutto. Ci sono grossi finanziamenti in arrivo da parte degli stessi libici, da parte di fondi arabi; si investe su tutto: dalle radio, alle televisioni, ai giornali, alle associazioni di donne, alle associazioni per i bambini. Gli stessi libici residenti all’estero che da Manchester in Inghilterra, come da Malta o da Dubai hanno fatto arrivare tutto quello che serviva … Questo, secondo me, è un segnale positivo. Per cui, se da un lato la società internazionale in qualche modo sorveglierà su quello che succede in Libia, la cosa più interessante è che gli stessi libici stanno prendendo in mano il destino del loro Paese. (gf)







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