Al festival del cinema di Roma,sceneggiatura inedita religiosa di Antonioni
I segreti di una sceneggiatura inedita e religiosa di Michelangelo Antonioni sono
al centro di un incontro che si terrà nel pomeriggio di oggi alle ore 17.00, programmato
dal Festival del Film di Roma al Villaggio del Cinema cui partecipano Elisabetta Antonioni,
nipote del regista e fondatrice dell'Associazione Michelangelo Antonioni di Ferrara,
la bizantinista e scrittrice Silvia Ronchey e il critico cinematografico Paolo Mereghetti.
Il servizio di Luca Pellegrini:
Con il pudore
del laico e la sensibilità dell'artista, Michelangelo Antonioni, del quale il prossimo
anno ricorre il centenario della nascita, si avvicinò due volte a soggetti legati
alla religiosità e al cristianesimo. L'attenzione del grande regista ferrarese si
soffermò, infatti, nel 1982, sulla figura di Frate Francesco, così il titolo, che
voleva fosse interpretato da Roberto Benigni, capace di recitare nella lingua dei
Fioretti. Il film naufragò. Circa otto anni prima, a metà degli anni Settanta, era
stata la figura di Santa Teresa d'Avila ad attirare il suo sguardo severo. Una frase
della mistica carmelitana lo aveva colpito, diventando il titolo di un film mai nato:
Patire o morire. Elisabetta Antonioni ricorda il progetto e l'attenzione
scrupolosa con la quale lavorò lo zio.
R. – Mio zio Michelangelo lavorava
sempre con molto scrupolo a qualsiasi cosa, a maggior ragione a questo progetto che
non era vicino alle sue tematiche normali e abituali. Si avvalse dell’aiuto della
bizantinista Silvia Ronchey, che lo aiutò moltissimo nell’individuare libri che potessero
servire per approfondire la tematica della mistica femminile e si indirizzò principalmente
verso le carmelitane.
D. - Come potrebbe definire la religiosità di
Antonioni?
R. – Non era, in senso stretto, religioso, però aveva un
interesse per qualsiasi argomento. Poi, il contatto umano, personale con alcune suore
lo avvicinò notevolmente alla tematica religiosa. Lui diceva che se l’amore per la
vita, l’amore per il bello era una forma di religiosità, anche lui allora era religioso.
D. - Il film prende lo spunto dalle vicende di un architetto che è
chiamato a restaurare un convento di clausura femminile ormai abbandonato. Che cosa
lo affascinava, secondo lei, di questo mondo?
R. – Michelangelo Antonioni
è sempre stato molto attento all’universo femminile e direi che l’ha compreso come
difficilmente noi donne riusciamo a comprendere noi stesse. Quindi, penso che la mistica
femminile rientri in quest’ottica generale.
D. - Antonioni nei suoi
capolavori ha spesso raccontato l’amore impossibile tra due esseri umani. Qui entrava
in contatto con un genere d’amore completamente diverso. Perché lo colpì così tanto
da volerne addirittura fare un film?
R. – Sostanzialmente perché gli
ha sempre dato la sensazione che fosse un amore vero, un amore profondo e un amore
che non muore. Lui era affascinato da questo tipo di amore, molto difficile sul piano
umano. Raccontava che ad una suora cui aveva chiesto “ Se io per caso mi innamorassi
di te, tu come reagiresti?” lei aveva risposto: “Sarebbe come se tu accendessi un
cerino, in una stanza inondata da una luce prodigiosa”. (ap)