2011-11-01 09:50:44

Al festival del cinema di Roma,sceneggiatura inedita religiosa di Antonioni


I segreti di una sceneggiatura inedita e religiosa di Michelangelo Antonioni sono al centro di un incontro che si terrà nel pomeriggio di oggi alle ore 17.00, programmato dal Festival del Film di Roma al Villaggio del Cinema cui partecipano Elisabetta Antonioni, nipote del regista e fondatrice dell'Associazione Michelangelo Antonioni di Ferrara, la bizantinista e scrittrice Silvia Ronchey e il critico cinematografico Paolo Mereghetti. Il servizio di Luca Pellegrini:RealAudioMP3

Con il pudore del laico e la sensibilità dell'artista, Michelangelo Antonioni, del quale il prossimo anno ricorre il centenario della nascita, si avvicinò due volte a soggetti legati alla religiosità e al cristianesimo. L'attenzione del grande regista ferrarese si soffermò, infatti, nel 1982, sulla figura di Frate Francesco, così il titolo, che voleva fosse interpretato da Roberto Benigni, capace di recitare nella lingua dei Fioretti. Il film naufragò. Circa otto anni prima, a metà degli anni Settanta, era stata la figura di Santa Teresa d'Avila ad attirare il suo sguardo severo. Una frase della mistica carmelitana lo aveva colpito, diventando il titolo di un film mai nato: Patire o morire. Elisabetta Antonioni ricorda il progetto e l'attenzione scrupolosa con la quale lavorò lo zio.

R. – Mio zio Michelangelo lavorava sempre con molto scrupolo a qualsiasi cosa, a maggior ragione a questo progetto che non era vicino alle sue tematiche normali e abituali. Si avvalse dell’aiuto della bizantinista Silvia Ronchey, che lo aiutò moltissimo nell’individuare libri che potessero servire per approfondire la tematica della mistica femminile e si indirizzò principalmente verso le carmelitane.

D. - Come potrebbe definire la religiosità di Antonioni?

R. – Non era, in senso stretto, religioso, però aveva un interesse per qualsiasi argomento. Poi, il contatto umano, personale con alcune suore lo avvicinò notevolmente alla tematica religiosa. Lui diceva che se l’amore per la vita, l’amore per il bello era una forma di religiosità, anche lui allora era religioso.

D. - Il film prende lo spunto dalle vicende di un architetto che è chiamato a restaurare un convento di clausura femminile ormai abbandonato. Che cosa lo affascinava, secondo lei, di questo mondo?

R. – Michelangelo Antonioni è sempre stato molto attento all’universo femminile e direi che l’ha compreso come difficilmente noi donne riusciamo a comprendere noi stesse. Quindi, penso che la mistica femminile rientri in quest’ottica generale.

D. - Antonioni nei suoi capolavori ha spesso raccontato l’amore impossibile tra due esseri umani. Qui entrava in contatto con un genere d’amore completamente diverso. Perché lo colpì così tanto da volerne addirittura fare un film?

R. – Sostanzialmente perché gli ha sempre dato la sensazione che fosse un amore vero, un amore profondo e un amore che non muore. Lui era affascinato da questo tipo di amore, molto difficile sul piano umano. Raccontava che ad una suora cui aveva chiesto “ Se io per caso mi innamorassi di te, tu come reagiresti?” lei aveva risposto: “Sarebbe come se tu accendessi un cerino, in una stanza inondata da una luce prodigiosa”. (ap)







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