2011-10-30 09:48:21

Elezioni in Kirghizistan, un Paese non ricco ma in posizione strategica


Si svolgono oggi nella repubblica centroasiatica del Kirghizistan le elezioni presidenziali. Le consultazioni arrivano a poco più di anno dall’allontanamento al potere dell’ex-presidente Bakiev, al quale erano seguiti mesi di scontri di matrice etnica tra la maggioranza kirghisa e la minoranza uzbeka nel Paese. Sul contesto politico e sulle conseguenze del voto Michele Raviart ha intervistato Fulvio Scaglione, vice-direttore di Famiglia Cristiana ed esperto di politica internazionale.RealAudioMP3

R. – Intanto la caratteristica più evidente di queste elezioni presidenziali in Kirghizistan è l’estrema frammentazione del quadro. Questa frammentazione non è senza radici e deriva dal fatto che il Kirghizistan è stato scombussolato per due volte nel giro di pochi anni: per la prima volta nel 2005 quando il presidente Akaiev è stato sostituito dall’altro presidente Bakiev e poi nel 2010 quando Bakiev ha fatto la stessa fine di Akaiev ed è stato sostituito da una presidentessa, Rosa Otunbaieva.

D. - Quali sono i candidati favoriti per questa elezione e quali sono i loro programmi?

R. – Sono iscritti 83 candidati, anche se poi tutto verrà ridotto probabilmente ad una gara contro il premier Atambaiev. Sostanzialmente la questione è di vedere con quanto consenso vincerà Atambaiev piuttosto che discutere se vincerà o no. I programmi politici da queste parti sono grandi ipotesi generaliste. La vera questione sarà se spostare il Paese più verso l’influenza americana - con tutti i riflessi che questo può avere sull’Afghanistan, perché il Kirghizistan è la retrovia americana alle operazioni in Afghanistan - o se spostare l’influenza verso la Russia.

D. - Cosa ha da offrire il Kirghizistan alle grandi potenze internazionali?

R. – L’unico bene che può in qualche modo mettere sul mercato il Kirghizistan è la sua posizione strategica. Gli Stati Uniti hanno una base militare a Manas, la Russia anche e ha in progetto di costruirne un’altra. Il Kirghizistan, che non ha risorse naturali, ondeggia tra l’uno e l’altro interlocutore andando a caccia di dollari, di favori; i dollari sono degli americani e i favori sono quelli russi, che adesso per recuperare il Kirghizistan nella propria orbita promettono di inserirlo in un’unione doganale molto favorevole.

D. - Queste elezioni potranno ricomporre le varie tensioni che si sono verificate lo scorso anno tra le varie etnie?

R. - Credo che da queste parti il problema della frammentazione secondo linee di faglia etniche, tribali, claniche, sia ancora lungi dall’essere superato. Nel tenerle vive, nell’alimentarle, conta molto proprio il fatto che in Asia centrale chi comanda prende tutto, diventa il padrone delle risorse naturali, diventa il padrone dei posti di lavoro forniti dallo Stato e quindi può beneficiare il proprio clan, la propria etnia e danneggiare pesantemente quelle rivali.

D. - Questa frammentazione può favorire l’estremismo religioso?

R. – Questo rischio c’è ed è un rischio che aleggia su tutta l’area e, come ben sappiamo, parlando, per esempio, della primavera araba, non solo sull’Asia centrale. E’ uno dei fattori di instabilità perché dato che si tratta di sistemi in cui il tasso di democrazia è variabile, non è solidificato come in Europa e in altre parti del mondo, spesso il problema dell’estremismo si risolve con un altro estremismo: cioè, con regimi autocratici o tendenzialmente autocratici, il che provoca ulteriore insoddisfazione. E’ una bilancia molto difficile da tenere in equilibrio. La storia più recente del Kirghizistan lo dimostra perché la stabilità, certamente, non è ancora un bene garantito. (bf)







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