Prima plenaria episcopale dopo l’indipendenza del Sud Sudan: pace e giustizia per
il Paese
Pace, unità, responsabilità condivise nel progresso del Paese, uguaglianza dei diritti,
importanza del ruolo della Chiesa: sono i temi contenuti nel messaggio diffuso ieri
dalla Conferenza episcopale del Sudan (SCBC), al termine della sua Assemblea Plenaria
svoltasi a Wau, la prima dopo l’indipendenza del Sud Sudan, proclamata il 9 luglio
scorso. All’inizio del lungo documento, i vescovi ricordano innanzitutto di voler
restare riuniti in un’unica Conferenza in nome di “una storia condivisa, poiché “siamo
tutti figli di Dio, indipendentemente dai confini geografici, dalle etnie, dalla religione,
dalla cultura o dagli schieramenti politici”. Tuttavia, sono stati istituiti due Segretariati,
uno a Juba, nel Sud Sudan, e uno a Khartoum, in Sudan, “per implementare il lavoro
pastorale dei vescovi di ciascuna nazione”. In questo senso, si legge nel messaggio,
“la Chiesa continuerà a giocare un ruolo pubblico in entrambi i Paesi. Il nostro ruolo
non è politico, ma piuttosto noi vescovi teniamo i due Paesi, i loro governi ed i
loro cittadini, legati alla responsabilità nei confronti dei valori del Vangelo”.
Per questo, la SCBC ribadisce la propria volontà di restare unita nell’attenzione
“alla dignità e alla santità della vita umana, al bene comune, alla solidarietà e
ai diritti umani fondamentali”. Poi, respingendo il concetto di “protezione delle
minoranze”, i vescovi insistono su “l’uguaglianza dei diritti per tutti i cittadini”
e chiedono “il rispetto della diversità umana creata da Dio, sia essa etnica, culturale,
linguistica o religiosa”. Un ulteriore appello viene lanciato per “una governance
aperta, trasparente e democratica in entrambe le nazioni”, le quali “devono imparare
a vivere in pace non solo l’una con l’altra, ma anche ciascuna al suo interno”. Per
questo, la SCBC rigetta “tutte le politiche che opprimono, emarginano o snaturano
l’umanità dei cittadini”: “Sia il Sudan che il Sud Sudan sono Paesi poveri – scrive
– e quindi tutte le loro energie dovrebbero essere spese per lo sviluppo e per la
pace”. In questo senso, “sia i governi che la Chiesa sono chiamati ad un esercizio
responsabile dell’amministrazione. La leadership andrebbe vista come un servizio alla
comunità, non come un potere o un profitto personale”. Bando, quindi, alla corruzione,
definita “inaccettabile”, mentre priorità deve essere data ai servizi per i cittadini.
E in quest’ambito, continuano i vescovi sudanesi, “la Chiesa continuerà a giocare
il suo principale ruolo, soprattutto nel settore sanitario e in quello educativo”.
Rivolgendosi, poi, al Sud Sudan, i presuli ricordano che “non solo il governo, ma
anche tutti i leader politici ed i cittadini hanno la responsabilità di costruire
la nuova nazione”. Al Sudan, invece, la Chiesa assicura la sua continua presenza ed
il suo operato, chiedendo però “una giusta soluzione per la questione della cittadinanza”.
D’altronde, dopo anni di conflitto, “la riconciliazione è essenziale”, purché – scrivono
i vescovi – “siano poste alcune condizioni necessarie”, come “l’educazione, la sicurezza
ed una certa stabilità e maturità politica”. Anzi, l’auspicio della Chiesa sudanese
è che la pace tra i due Stati non sia solo “la mera assenza di un conflitto”, ma piuttosto
“lo sviluppo di un processo di verità e di riconciliazione”. Dal suo canto, la Chiesa
sudanese “continuerà a fare tutto il possibile per unire la popolazione in verità,
giustizia, pace, misericordia, amore e perdono”. Quanto ai conflitti tuttora in corso,
come quelli nel Sud Kordofan, sui Monti Nuba, nello Stato del Nilo Azzurro, nell’Equatoria
Occidentale ed Orientale e ad Abyei, la SCBC chiama tutti i governi, sia nazionali
che internazionali, ad adoperarsi per una soluzione pacifica, implementando i protocolli
dell’Accordo di pace comprensivo, stipulato tra nord e sud Sudan nel 2005: “Respingiamo
ulteriori militarizzazioni di questi conflitti – si legge nel messaggio – e chiediamo
ai governi ed alla comunità internazionale di lavorare per accordi negoziati. Lanciamo
un appello per una maggiore protezione ed assistenza umanitaria a favore di tutte
le popolazioni colpite da tali conflitti”. Riaffermando ancora una volta l’impegno
della Chiesa per l’ecumenismo, il dialogo interreligioso, la cura dei poveri, la salvaguardia
del Creato, la solidarietà, la sussidiarietà e la promozione della pace, i vescovi
sudanesi ringraziano quindi tutti gli agenti pastorali per la loro “testimonianza
disinteressata”, esortandoli al contempo a proseguire il loro operato “con un rinnovato
impegno per l’evangelizzazione”. Infine, i presuli affidano i fedeli all’intercessione
di due Santi significativi: la sudanese Giuseppina Bakhita e Daniele Comboni, patrono
dell’Africa. (A cura di Isabella Piro)