Padre Tentorio, apostolo dei tribali, ricordato con una Messa a Roma
Padre Fausto Tentorio, il missionario del Pime ucciso lo scorso 17 ottobre nelle Filippine,
è anzitutto “un testimone di Gesù Cristo”. Egli ha donato la vita per i tribali dell’Arakan
Valley, a Mindanao, ma proprio per essere come Gesù, “beneficando e sanando” situazioni
di conflitto e di umiliazioni dei diritti umani. È quanto ha affermato don Gianni
Cesena, presidente delle Pontificie Opere Missionarie in Italia, nella messa celebrata
ieri sera nella basilica di S. Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma. La celebrazione
- riferisce l'agenzia AsiaNews - è stata proposta dal Pime (Pontificio Istituto Missioni
Estere) per ricordare il missionario ucciso, nello stesso giorno in cui avvenivano
i suoi funerali a Kidapawan. Alla cerimonia hanno partecipato circa 300 persone e
centinaia di sacerdoti, italiani e filippini, con la presenza degli ambasciatori di
questo Paese. All’inizio della messa, padre Luciano Benedetti, del Pime, già collaboratore
e amico di padre Fausto, ha tratteggiato a lungo e in dettaglio la figura e l’impegno
del sacerdote per sostenere le comunità tribali, minacciate di estinzione a causa
degli espropri di terre da parte di compagnie agricole e minerarie che si diffondono
nella zona. Padre Benedetti ha sottolineato che il lavoro di padre Tentorio – alfabetizzazione
per gli adulti, scuole per i giovani, acquedotti, lavoro, economia – era in sintonia
con l’impegno della diocesi di Kidapawan. “Il killer – ha ricordato padre Benedetti
– ha colpito padre Fausto con due diversi proiettili. Alcuni hanno colpito la spina
dorsale; altri il volto”. Padre Fausto viveva vicino a una montagna che i tribali
chiamano “la spina dorsale di Dio”. Il killer, ha detto padre Benedetti, “ha voluto
colpire la spina dorsale di Fausto, la (vera) spina dorsale di Dio”. Sparando alla
bocca e al viso, l’uccisore ha voluto “mettere a tacere” colui che predica e che annuncia
il Regno di Dio. È soprattutto nell’omelia di don Gianni Cesena che è emersa la cattolicità
della testimonianza del missionario ucciso. Nelle Filippine e in Italia, molti parlano
di padre Fausto come di un attivista politico, un gandhiano non violento, un ecologista
in difesa delle foreste, un lavoratore sociale. In realtà – ha affermato don Cesena
- nella sua morte e nella sua esistenza, p. Fausto “è stato la rivelazione di una
vita donata alla missione e ai poveri in nome di Gesù”. Riferendosi poi al vangelo
di Giovanni della liturgia, in cui Gesù ricorda che “dove sono io, là sarà anche il
mio servo”, ha sottolineato che nella condivisione della vita fra Gesù e il servo
vi è anche la speranza per il futuro: “la Buona notizia soffre catene e uccisioni,
ma non ne ha paura, e il Regno continua il suo cammino”. Alla celebrazione era presente
anche mons. Orlando Quevedo, attuale arcivescovo di Cotabato (Mindanao), che ha accolto
padre Tentorio nei suoi primi anni di missione. Mons. Quevedo, ha definito l’isola
di Mindanao “una terra di conflitti” fra poveri tribali e ricchi possidenti, comunisti
del New People’s Army e militari dell’esercito. Tutti – egli ha affermato – si sono
detti estranei alla morte del sacerdote”. Per questo egli ha domandato al governo
filippino di fare piena luce sull’assassinio del sacerdote. A conclusione, un rappresentante
della direzione generale del Pime, padre Mark Tardiff, ha ringraziato gli intervenuti
e tutti coloro che hanno espresso la loro solidarietà e le condoglianze all’istituto.
Egli ha chiesto preghiere perché dal sacrificio di padre Tentorio, sempre più cristiani
divengano “testimoni di Cristo nostra pace”. (R.P.)