On. Riccardo Migliori, presidente della delegazione parlamentare italiana presso l’Osce,
coordinatore degli osservatori internazionali per il monitoraggio del voto. Le elezioni
per l'assemblea costituente che si sono svolte domenica 23 in Tunisia sono state una
grandissima festa della democrazia per l'entusiasmo e il senso di unità e partecipazione
di tutto il popolo tunisino rispetto a questo avvenimento. C'era la consapevolezza
di trovarsi di fronte a una svolta storica. I tunisini, già battistrada della
"primavera araba", sanno di aver contribuito a un cambiamento che riguarda tutto il
Nord-Africa con elezioni che centinaia di osservatori internazionali hanno definito
'libere e giuste'. Ora sanno che il benefico effetto di questo voto si spalmerà su
tuttà la regione: il Marocco voterà il 25 novembre, poi sarà la volta dell'Egitto
e nell'aprile 2012 toccherà l'Algeria. Mentre anche la Libia ha scelto il percorso
di democratizzazione tunisino che passa per la creazione di un'Assemblea costituente.
La stampa europea ha una grossa reponsabilità in quello che è accaduto in Tunisia.
Perché ha dato per scontata la vittoria di Ennahdha, definendolo un partito simile
ai Fratelli Musulmani e consanguineo di Al-Qaeda. Inoltre molti si sono dimenticati
di precisare che il voto ha formato solo un'Assemblea costituente, nella quale come
nel '46 in Italia, visto che nessuno ha la maggioranza assoluta, si dovrà trovare
insieme un compromesso alto e nobile che non potrà non riconfermare tutti i diritti
fondamentali della persona. E' un dato di fatto che Ennahdha sia il partito più
organizzato in Tunisia, abbia forti radici popolari, abbia avuto quarantamila sostenitori
incarcerati o esiliati da Ben Ali, e rappresenti nell'immaginario collettivo il punto
più lontano rispetto al suo regime. Ma è anche un partito che si è aperto: il segretario
nazionale è venuto in Italia a svolgere campagna elettorale per i tunisini all'estero,
invitando maggioranza e opposizione. E' inoltre un partito che si ispira esplicitamente
ad Ankara e al modello di Erdogan e non al modello di Teheran. Una formazione che
va dunque giudicata alla prova dei fatti, senza criminalizzazioni preventive. Forse
questa esagerata patente di invincibilità datagli dalla stampa non ha giovato alla
sua immagine. (intervista a cura di Fabio Colagrande)