Terremoto in Turchia: quasi 300 i corpi estratti dalle macerie
Si aggrava con il passare delle ore il bilancio del terremoto che ha colpito la Turchia
orientale, nella zona del Lago di Van. Quasi 300 i corpi recuperati fino a questo
momento dalle macerie, ma sono centinaia coloro che mancano all’appello. Ed è una
corsa contro il tempo, quella dei soccorritori, per salvare il maggior numero di persone
rimaste intrappolate sotto le proprie case crollate. Il servizio è di Furio Morroni:
E proprio
nella confinante provincia di Hakkari è in corso da quattro giorni l'operazione di
terra delle Forze armate turche contro i terroristi curdi del Pkk. Ieri i militari
di Ankara hanno attraversato il confine con il nord dell'Iraq per dare la caccia alle
basi dei ribelli nella valle di Haftanin. Ma sulla situazione nel Paese, dopo il sisma
di domenica, ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco l’arcivescovo metropolita
di Smirne e presidente della Conferenza episcopale della Turchia, mons. Ruggero Franceschini:
R. – Ci ha
colti di sorpresa perché eravamo presi da altri pensieri. Per esempio, quello della
guerra in quella zona. E quindi noi siamo rimasti veramente scossi. Sappiamo che sotto
i ruderi di questi palazzi crollati ci sono ancora tante persone e ci auguriamo che
siano vive.
D. – Si è subito messa in moto la macchina dei soccorsi turca e
anche la comunità internazionale offre il proprio contributo…
R. – Sappiamo
che si sono mosse già alcune nazioni, tra le quali anche Israele ha chiesto di poter
dare il proprio aiuto.
D. – Molto prezioso è anche l’impegno della Chiesa…
R.
- Da parte nostra come Chiesa abbiamo una presenza piccola, abbiamo una famiglia di
Firenze. Una famiglia composta da papà, mamma e figlia: stanno bene, però la loro
casa è distrutta. Quello che potremmo fare, cercheremo di farlo tramite questa famiglia
fiorentina, secondo le nostre piccolissime possibilità.
D. – Quello che preoccupa
è che gli aiuti devono arrivare in una regione scossa dal terremoto dove sono anche
in atto operazioni belliche…
R. - Tutto è più difficile, ci sono limiti alle
nostre possibilità, non solo dovute alla nostra piccola Chiesa ma anche alle restrizioni,
all’impossibilità di poterci muovere in quei luoghi senza un dettagliato controllo
su tutto quello che passa o si muove in quella zona.
D. - Ci sono restrizioni
e difficoltà però l’impegno della Chiesa non conosce confini, non conosce differenze
religiose…
R. – Per noi è sempre stato così. La nostra Caritas di Smirne è
frequentata soprattutto e prima di tutto, dai musulmani i quali volentieri si recano
in questo nostro ufficio. Ed è bello che anche da musulmani arrivino contributi a
questa Caritas perché hanno riconosciuto proprio la libertà con la quale ci muoviamo,
cioè nel rispetto delle persone senza nessuna distinzione di razza o di religione.
D.
– In questo senso la Turchia può essere un po’ un modello per orientare la ‘primavera
araba’?
R. – Io penso di sì. Mi auguro anche che queste difficoltà che esistono
con Israele non costringano la Turchia ad isolarsi dal mondo. Mi auguro proprio che
ci sia questa comprensione perché credo che la Turchia desideri aprirsi, rimanendo
musulmana ovviamente, ma nel confronto e nella collaborazione con altre fedi.
Sono
dunque salvi i componenti della famiglia italiana che vivono a Van, dove offrono una
preziosa testimonianza di vita cristiana. Antonella Palermo ha raggiunto telefonicamente
Roberto Ugolini: R. – Dopo il terremoto, siamo scappati e siamo venuti qui sul
lago, proprio sulla riva, perché è l’unico posto “tranquillo”, dove non ci sono costruzioni.
Questa notte abbiamo dormito qui. Non abbiamo altro rispetto a quello che indossavamo
ieri. Durante il sisma, per noi il tempo non passava mai e la violenza del terremoto
era veramente impressionante. Ci siamo abbracciati, ci siamo messi sotto ad un architrave
della casa e poi siamo scappati.
D. – La popolazione locale come affronta queste
difficili fasi successive al sisma?
R. – Le persone hanno uno spirito di adattamento
incredibile. Sono abituate ad avere tanti problemi, perché purtroppo la vita lì non
è facile: non c’è molto lavoro, non ci sono molte industrie e tanta gente, infatti,
ha lasciato i villaggi. Si tratta di gente abituata ad una vita non facile. C’è una
vita di relazione che purtroppo noi italiani stiamo un po’ perdendo, mentre qui è
davvero molto sentita. Se una persona viene qui, in Turchia, senza portafoglio o lo
perde, trova sempre, nelle case dei poveri, un pezzo di pane da mangiare ed un letto
in cui poter dormire. E’ difficile che possa avere un rifiuto.
D. – I soccorsi
stanno arrivando?
R. – Sinceramente non è facile farli arrivare, perché la
zona è molto estesa. Non è affatto semplice coordinare tutto. Queste, poi, sono anche
zone di montagna, però si sentono passare in continuazione ambulanze che vanno avanti
ed indietro. Anche i camion e le ruspe dei soccorsi stanno arrivando.
D. –
Lei e la sua famiglia conoscete diversi profughi afghani in Turchia…
R. – Sono
circa tremila i profughi afghani ed iraniani a Van. Qui vengono gli afghani e gli
iraniani perché siamo sulla direttrice principale per chi viene da Afghanistan ed
Iran a piedi, attraverso le montagne. Ci sono tutte queste persone che vivono in certe
zone della città, quelle più povere, e sono proprio queste le persone che conosciamo
di più. Da ieri sera sono tornate a funzionare le linee telefoniche e siamo riusciti
a parlare con alcune di loro. Grazie a Dio sono vive, non abbiamo perso nessuno e
questa è una grande cosa. (vv)