Raduno di Assisi. Il cardinale Ravasi sulla presenza degli intellettuali non credenti:
il loro è un pellegrinaggio laico verso i grandi valori
Tra due giorni, ad Assisi, gli esponenti di tutte le religioni si ritroveranno assieme
al Papa per un momento di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia
nel mondo. L’appuntamento cade a 25 anni di distanza dall’incontro di Assisi voluto
da Giovanni Paolo II. A differenza di allora, però, a questa edizione - dal titolo
"Pellegrini della verità, pellegrini della pace" - prenderanno parte alcuni intellettuali
non credenti, invitati dal Pontificio Consiglio per la Cultura. Al presidente il cardinale
Gianfranco Ravasi, Francesca Sabatinelli ha chiesto il perché di questo
particolare invito:
R. – Il concetto
di verità, in questo ultimo periodo storico, ha subito un profondo mutamento rispetto
alla concezione tradizionale. La concezione classica diceva che la verità è una realtà
in sé, oggettiva, che ci precede e ci eccede. Ora, invece, il concetto di verità è
molto soggettivo. Per questo io credo che dobbiamo ancora ritrovare la grande concezione
classica e cristiana di verità e su di essa molti uomini di cultura si stanno ora
muovendo.
D. – Assisi 2011: quale rapporto troviamo tra le religioni?
R.
– Da un lato, si è fieramente reso più intenso. C’è sicuramente un contatto costante,
soprattutto nelle grandi espressioni religiose. Dall’altra parte, però, bisogna pure
dire che registriamo anche un fenomeno di difficoltà. Pensiamo, ad esempio, al fenomeno
dei fondamentalismi. Per questo motivo, il colore da usare per rappresentare questa
atmosfera è quasi il chiaroscuro: molto chiaro perché i dialoghi sono molto più fecondi,
ma dall’altra parte ci sono insorgenze legate invece a tensioni, a identità eccessive,
che respingono quasi l’altro. Bisogna sicuramente vedere Assisi come una tappa importante
per ribadire il colore chiaro della situazione in cui siamo immersi.
D.
– Venticinque anni fa, all’interno dello stesso mondo cristiano, si sollevarono critiche
nei confronti dell’iniziativa di Giovanni Paolo II. C’era chi temeva il sincretismo.
Lei vede ancora oggi questa diffidenza nel mondo cristiano?
R. – Da
parte di qualche ambito, devo dire molto ristretto, questa diffidenza c’è ancora.
Si può anche comprendere che, quando si parla di dialogo, un rischio sempre esistente
è quello del sincretismo, ma questo è lontano, remoto, in questa esperienza di Assisi.
Questo perché si è voluto il più possibile cercare di ritrovare le radici ultime e
profonde che permettono questo incontro, evitando una forma esteriore, generica, che
quasi affermi una sorta di incontro facile e immediato, soprattutto a livello religioso
anche esplicito, esteriore. La radice profonda è quella del legame che noi tutti abbiamo
prima di tutto a una sorgente adamica. Dall’altra parte, c’è anche questa profonda
ricerca di Dio, del mistero, della trascendenza, che è nell’interno di tutte le grandi
religioni. Poi, c’è anche la realizzazione dei grandi valori umani di verità, di giustizia,
di dialogo tra i popoli, persino di amore. Infine, c’è anche la possibilità che nella
identità propria si può costruire uno spettro di espressioni religiose molto diverse
che insieme, però, coesistono e convivono. Io credo che non ci sia assolutamente ragione
per fare delle obiezioni a questo incontro che Benedetto XVI ha voluto, anche con
questa dimensione degli uomini che non hanno religione ma che si interrogano sul senso
ultimo delle cose, che sono in cammino e in pellegrinaggio laico verso i grandi valori.
(bf)