Terremoto in Turchia: centinaia i morti. Mons. Franceschini: in tanti ancora sotto
le macerie
Sale ad oltre 260 morti accertati il bilancio, ancora provvisorio, delle vittime del
terremoto che ha colpito ieri l’est della Turchia, nella zona del Lago di Van. Secondo
fonti locali, sono centinaia i dispersi. La macchina dei soccorsi si è subito messa
in moto ma gli aiuti sono ostacolati anche dal fatto che nella confinante provincia
di Hakkari è in corso da quattro giorni l'operazione di terra delle Forze armate turche
contro i terroristi curdi del Pkk. Sulla situazione nel Paese, ascoltiamo al microfono
di Amedeo Lomonaco l’arcivescovo metropolita di Smirne e presidente della Conferenza
episcopale della Turchia, mons. Ruggero Franceschini:
R. – Ci ha
colti di sorpresa perché eravamo presi da altri pensieri. Per esempio, quello della
guerra in quella zona. E quindi noi siamo rimasti veramente scossi. Sappiamo che sotto
i ruderi di questi palazzi crollati ci sono ancora tante persone e ci auguriamo che
siano vive.
D. – Si è subito messa in moto la macchina dei soccorsi
turca e anche la comunità internazionale offre il proprio contributo…
R.
– Sappiamo che si sono mosse già alcune nazioni, tra le quali anche Israele ha chiesto
di poter dare il proprio aiuto.
D. – Molto prezioso è anche l’impegno
della Chiesa…
R. - Da parte nostra come Chiesa abbiamo una presenza
piccola, abbiamo una famiglia di Firenze. Una famiglia composta da papà, mamma e figlia:
stanno bene, però la loro casa è distrutta. Quello che potremmo fare, cercheremo di
farlo tramite questa famiglia fiorentina, secondo le nostre piccolissime possibilità.
D.
– Quello che preoccupa è che gli aiuti devono arrivare in una regione scossa dal terremoto
dove sono anche in atto operazioni belliche…
R. - Tutto è più difficile,
ci sono limiti alle nostre possibilità, non solo dovute alla nostra piccola Chiesa
ma anche alle restrizioni, all’impossibilità di poterci muovere in quei luoghi senza
un dettagliato controllo su tutto quello che passa o si muove in quella zona.
D.
- Ci sono restrizioni e difficoltà però l’impegno della Chiesa non conosce confini,
non conosce differenze religiose…
R. – Per noi è sempre stato così.
La nostra Caritas di Smirne è frequentata soprattutto e prima di tutto, dai musulmani
i quali volentieri si recano in questo nostro ufficio. Ed è bello che anche da musulmani
arrivino contributi a questa Caritas perché hanno riconosciuto proprio la libertà
con la quale ci muoviamo, cioè nel rispetto delle persone senza nessuna distinzione
di razza o di religione.
D. – In questo senso la Turchia può essere
un po’ un modello per orientare la ‘primavera araba’?
R. – Io penso
di sì. Mi auguro anche che queste difficoltà che esistono con Israele non costringano
la Turchia ad isolarsi dal mondo. Mi auguro proprio che ci sia questa comprensione
perché credo che la Turchia desideri aprirsi, rimanendo musulmana ovviamente, ma nel
confronto e nella collaborazione con altre fedi.
Sono dunque salvi i componenti
della famiglia italiana che vivono a Van, dove offrono una preziosa testimonianza
di vita cristiana. Antonella Palermo ha raggiunto telefonicamente Roberto
Ugolini:
R. – Dopo
il terremoto, siamo scappati e siamo venuti qui sul lago, proprio sulla riva, perché
è l’unico posto “tranquillo”, dove non ci sono costruzioni. Questa notte abbiamo dormito
qui. Non abbiamo altro rispetto a quello che indossavamo ieri. Durante il sisma, per
noi il tempo non passava mai e la violenza del terremoto era veramente impressionante.
Ci siamo abbracciati, ci siamo messi sotto ad un architrave della casa e poi siamo
scappati.
D. – La popolazione locale come affronta queste difficili
fasi successive al sisma?
R. – Le persone hanno uno spirito di adattamento
incredibile. Sono abituate ad avere tanti problemi, perché purtroppo la vita lì non
è facile: non c’è molto lavoro, non ci sono molte industrie e tanta gente, infatti,
ha lasciato i villaggi. Si tratta di gente abituata ad una vita non facile. C’è una
vita di relazione che purtroppo noi italiani stiamo un po’ perdendo, mentre qui è
davvero molto sentita. Se una persona viene qui, in Turchia, senza portafoglio o lo
perde, trova sempre, nelle case dei poveri, un pezzo di pane da mangiare ed un letto
in cui poter dormire. E’ difficile che possa avere un rifiuto.
D. –
I soccorsi stanno arrivando?
R. – Sinceramente non è facile farli arrivare,
perché la zona è molto estesa. Non è affatto semplice coordinare tutto. Queste, poi,
sono anche zone di montagna, però si sentono passare in continuazione ambulanze che
vanno avanti ed indietro. Anche i camion e le ruspe dei soccorsi stanno arrivando.
D.
– Lei e la sua famiglia conoscete diversi profughi afghani in Turchia…
R.
– Sono circa tremila i profughi afghani ed iraniani a Van. Qui vengono gli afghani
e gli iraniani perché siamo sulla direttrice principale per chi viene da Afghanistan
ed Iran a piedi, attraverso le montagne. Ci sono tutte queste persone che vivono in
certe zone della città, quelle più povere, e sono proprio queste le persone che conosciamo
di più. Da ieri sera sono tornate a funzionare le linee telefoniche e siamo riusciti
a parlare con alcune di loro. Grazie a Dio sono vive, non abbiamo perso nessuno e
questa è una grande cosa. (vv)