Cortile dei Gentili: a Firenze incontro su "Umanesimo e bellezza, ieri e oggi"
Il “Cortile dei gentili”, la struttura di dialogo tra credenti e non credenti avviata
dal Pontificio Consiglio della Cultura, ha vissuto ieri a Firenze una nuova tappa
italiana. Ieri pomeriggio, a Palazzo Vecchio, si sono ritrovati intellettuali di diversa
estrazione culturale per parlare del tema: ‘Umanesimo e bellezza, ieri e oggi’. Il
cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero vaticano, ha tenuto la prolusione.
Da Firenze, il servizio del nostro inviato, Fabio Colagrande:
Senza l’arte
Dio rischia di rimanere un’astrazione e la fede è incapace di parlare al cuore dell’uomo.
Ma la bellezza, come condizione metafisica del bene, può e deve essere anche il territorio
di incontro fra credenti e non-credenti, linguaggio universale di riscatto etico,
per costruire un nuovo umanesimo. Sulla base di questo assunto lo splendido Salone
dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, ieri gremitissimo, è diventato la cornice ideale
di un nuovo appuntamento del Cortile dei Gentili. Un’iniziativa vaticana quest’ultima
– ha ricordato in apertura l’arcivescovo di Firenze, mons. Betori - che dimostra
l’infondatezza delle accuse di dogmatismo rivolte a una Chiesa che si dimostra invece
determinata a porsi in dialogo anche con chi non condivide la sua fede ma si ritrova
nella tensione verso il trascendente.
Ad animare la serata due duetti
che intrecciavano quattro ‘diversamente credenti’: da un lato il teatrante Moni
Ovadia e il filosofo agnostico Sergio Givone, dall’altro lo scrittore Erri
De Luca e lo storico dell’arte Antonio Paolucci. Ad introdurli le riflessioni del
presidente del dicastero della cultura. ‘La potenza della bellezza’ evocata nel Siracide,
ha ricordato il cardinale Ravasi, va riproposta al giorno d’oggi anche perché è oscura,
‘capace di creare un fremito’. ‘La bellezza ferisce, ma proprio così richiama l’uomo
al suo destino ultimo’, scriveva in un saggio il cardinale Ratzinger. Mentre il poeta
rumeno Emil Cioran irrideva i teologi che perdono tempo a spiegare l’esistenza di
Dio, quando basta un’opera di Bach a provarla. E’ toccato poi all’attore di
origine ebraica Ovadia ricordare che l’arte è la forma più completa di conoscenza:
“Una
ghemarà del Talmud ebraico dice: una moglie bella, una casa bella e degli strumenti,
intesi come strumenti di creazione, gradevoli, allargano l’orizzonte della conoscenza
dell’uomo. La bellezza, l’arte quindi, sono strumenti di conoscenza. Noi abbiamo una
visione limitata e occlusiva della conoscenza come atto concettuale e mentale. Il
bello è una forma di conoscenza attraverso l’emozione e l’emozione è strumento di
conoscenza”.
Se il prof. Givone come studioso di estetica ha invitato
a riscoprire la bellezza come luogo che, da Platone a Kant, è sempre stato territorio
di confronto sui grandi temi, Erri De Luca l’ha descritta come
energia, forza politica, forza di resistenza dell’umanità:
“La bellezza
è un’energia del mondo. Il mondo è stato creato con questa intenzione di bellezza.
Per poterlo sostenere, per poterlo far stare in piedi, per poterlo far girare, le
regole che riguardano il funzionamento della macchina mondo, rispondono ad un principio
di bellezza. Bisogna semplicemente assecondarlo. Non dobbiamo inventare niente, dobbiamo
semplicemente seguire questo scorrere dell’energia della bellezza, che è alla base
della vita sia biologica sia dell’universo”.
Ha chiuso il prof. Paolucci,
direttore dei Musei Vaticani, che, invitando il pubblico a rimirare gli affreschi
nel salone dei Cinquecento, voluti dal Vasari per glorificare la potenza di Cosimo
de’ Medici, ha illustrato la capacità dell’arte di essere ‘minacciosamente persuasiva’.
D’altro canto, proprio le sale dei musei vaticani – ha aggiunto - mostrano come la
Chiesa abbia considerato per secoli l’eloquente bellezza quasi ‘ombra di Dio’. Una
Chiesa che oggi, purtroppo- ha lamentato lo storico dell’arte - vive una preoccupante
fase di afasia espressiva. (ap)