Testo integrale della Lettera di Benedetto XVI per l'indizione dell'Anno della fede
1. La “porta della fede” (cfr At 14,27) che introduce alla vita di comunione
con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E’ possibile
oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si
lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi
in un cammino che dura tutta la vita. Esso inizia con il Battesimo (cfr Rm 6,
4), mediante il quale possiamo chiamare Dio con il nome di Padre, e si conclude con
il passaggio attraverso la morte alla vita eterna, frutto della risurrezione del Signore
Gesù che, con il dono dello Spirito Santo, ha voluto coinvolgere nella sua stessa
gloria quanti credono in Lui (cfr Gv 17,22). Professare la fede nella Trinità
– Padre, Figlio e Spirito Santo – equivale a credere in un solo Dio che è Amore (cfr
1Gv 4,8): il Padre, che nella pienezza del tempo ha inviato suo Figlio per
la nostra salvezza; Gesù Cristo, che nel mistero della sua morte e risurrezione ha
redento il mondo; lo Spirito Santo, che conduce la Chiesa attraverso i secoli nell’attesa
del ritorno glorioso del Signore. 2. Fin dall’inizio del mio ministero come Successore
di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere
in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro
con Cristo. Nell’Omelia della santa Messa per l’inizio del pontificato dicevo: “La
Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino,
per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia
con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza”. Capita
ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze
sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come
un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non
è più tale, ma spesso viene perfino negato. Mentre nel passato era possibile riconoscere
un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della
fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori
della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone.
3. Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta
(cfr Mt 5,13-16). Anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi
come la samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere
alla sua sorgente, zampillante di acqua viva (cfr Gv 4,14). Dobbiamo ritrovare
il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e
del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli (cfr Gv
6,51). L’insegnamento di Gesù, infatti, risuona ancora ai nostri giorni con la stessa
forza: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per
la via eterna” (Gv 6,27). L’interrogativo posto da quanti lo ascoltavano è
lo stesso anche per noi oggi: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?”
(Gv 6,28). Conosciamo la risposta di Gesù: “Questa è l’opera di Dio: che crediate
in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Credere in Gesù Cristo, dunque, è
la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza. 4. Alla luce di tutto
questo ho deciso di indire un Anno della fede. Esso avrà inizio l’11 ottobre
2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà
nella solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il 24 novembre 2013.
Nella data dell’11 ottobre 2012, ricorreranno anche i vent’anni dalla pubblicazione
del Catechismo della Chiesa Cattolica, testo promulgato dal mio Predecessore,
il Beato Papa Giovanni Paolo II, allo scopo di illustrare a tutti i fedeli la forza
e la bellezza della fede. Questo documento, autentico frutto del Concilio Vaticano
II, fu auspicato dal Sinodo Straordinario dei Vescovi del 1985 come strumento al servizio
della catechesi e venne realizzato mediante la collaborazione di tutto l’Episcopato
della Chiesa cattolica. E proprio l’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi è stata
da me convocata, nel mese di ottobre del 2012, sul tema de La nuova evangelizzazione
per la trasmissione della fede cristiana. Sarà quella un’occasione propizia per
introdurre l’intera compagine ecclesiale ad un tempo di particolare riflessione e
riscoperta della fede. Non è la prima volta che la Chiesa è chiamata a celebrare un
Anno della fede. Il mio venerato Predecessore il Servo di Dio Paolo VI ne indisse
uno simile nel 1967, per fare memoria del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo nel
diciannovesimo centenario della loro testimonianza suprema. Lo pensò come un momento
solenne perché in tutta la Chiesa vi fosse “un'autentica e sincera professione della
medesima fede”; egli, inoltre, volle che questa venisse confermata in maniera “individuale
e collettiva, libera e cosciente, interiore ed esteriore, umile e franca”. Pensava
che in tal modo la Chiesa intera potesse riprendere “esatta coscienza della sua fede,
per ravvivarla, per purificarla, per confermarla, per confessarla”. I grandi sconvolgimenti
che si verificarono in quell’Anno, resero ancora più evidente la necessità di una
simile celebrazione. Essa si concluse con la Professione di fede del Popolo di
Dio, per attestare quanto i contenuti essenziali che da secoli costituiscono il
patrimonio di tutti i credenti hanno bisogno di essere confermati, compresi e approfonditi
in maniera sempre nuova al fine di dare testimonianza coerente in condizioni storiche
diverse dal passato. 5. Per alcuni aspetti, il mio venerato Predecessore vide
questo Anno come una “conseguenza ed esigenza postconciliare”, ben cosciente delle
gravi difficoltà del tempo, soprattutto riguardo alla professione della vera fede
e alla sua retta interpretazione. Ho ritenuto che far iniziare l’Anno della fede
in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano
II possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità
dai Padri conciliari, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II, “non perdono
il loro valore né il loro smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera
appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi
del Magistero, all'interno della Tradizione della Chiesa … Sento più che mai il dovere
di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato
nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino
del secolo che si apre”. Io pure intendo ribadire con forza quanto ebbi ad affermare
a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a Successore di Pietro: “se
lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare
sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa”.
6. Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta
dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti
chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato.
Proprio il Concilio, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium, affermava:
“Mentre Cristo, «santo, innocente, senza macchia» (Eb 7,26), non conobbe il
peccato (cfr 2Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo
(cfr Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò
santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino
della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra
le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio», annunziando la passione e la
morte del Signore fino a che egli venga (cfr 1Cor 11,26). Dalla virtù del Signore
risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà,
che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo,
con fedeltà anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei
tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce”. L’Anno della fede,
in questa prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore,
unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato
in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante
la remissione dei peccati (cfr At 5,31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore
introduce l’uomo ad una nuova vita: “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme
a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria
del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita” (Rm 6,4). Grazie
alla fede, questa vita nuova plasma tutta l’esistenza umana sulla radicale novità
della risurrezione. Nella misura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli
affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo vengono lentamente purificati e
trasformati, in un cammino mai compiutamente terminato in questa vita. La “fede che
si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di intelligenza
e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo (cfr Rm 12,2; Col 3,9-10;
Ef 4,20-29; 2Cor 5,17). 7. “Caritas Christi urget nos” (2Cor
5,14): è l’amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare.
Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per proclamare il suo Vangelo
a tutti i popoli della terra (cfr Mt 28,19). Con il suo amore, Gesù Cristo
attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole
l’annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è
necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione
per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede.
Nella quotidiana riscoperta del suo amore attinge forza e vigore l’impegno missionario
dei credenti che non può mai venire meno. La fede, infatti, cresce quando è vissuta
come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di
grazia e di gioia. Essa rende fecondi, perché allarga il cuore nella speranza e consente
di offrire una testimonianza capace di generare: apre, infatti, il cuore e la mente
di quanti ascoltano ad accogliere l’invito del Signore di aderire alla sua Parola
per diventare suoi discepoli. I credenti, attesta sant’Agostino, “si fortificano credendo”.
Il santo Vescovo di Ippona aveva buone ragioni per esprimersi in questo modo. Come
sappiamo, la sua vita fu una ricerca continua della bellezza della fede fino a quando
il suo cuore non trovò riposo in Dio. I suoi numerosi scritti, nei quali vengono spiegate
l’importanza del credere e la verità della fede, permangono fino ai nostri giorni
come un patrimonio di ricchezza ineguagliabile e consentono ancora a tante persone
in ricerca di Dio di trovare il giusto percorso per accedere alla “porta della fede”.
Solo credendo, quindi, la fede cresce e si rafforza; non c’è altra possibilità
per possedere certezza sulla propria vita se non abbandonarsi, in un crescendo continuo,
nelle mani di un amore che si sperimenta sempre più grande perché ha la sua origine
in Dio. 8. In questa felice ricorrenza, intendo invitare i Confratelli Vescovi
di tutto l’orbe perché si uniscano al Successore di Pietro, nel tempo di grazia spirituale
che il Signore ci offre, per fare memoria del dono prezioso della fede. Vorremmo celebrare
questo Anno in maniera degna e feconda. Dovrà intensificarsi la riflessione
sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole ed a rinvigorire
la loro adesione al Vangelo, soprattutto in un momento di profondo cambiamento come
quello che l’umanità sta vivendo. Avremo l’opportunità di confessare la fede nel Signore
Risorto nelle nostre Cattedrali e nelle chiese di tutto il mondo; nelle nostre case
e presso le nostre famiglie, perché ognuno senta forte l’esigenza di conoscere meglio
e di trasmettere alle generazioni future la fede di sempre. Le comunità religiose
come quelle parrocchiali, e tutte le realtà ecclesiali antiche e nuove, troveranno
il modo, in questo Anno, per rendere pubblica professione del Credo.
9. Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione
a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e
speranza. Sarà un'occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della
fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia, che è “il culmine verso cui
tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia”.
Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca
nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta
e pregata, e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni
credente deve fare proprio, soprattutto in questo Anno. Non a caso, nei
primi secoli i cristiani erano tenuti ad imparare a memoria il Credo. Questo
serviva loro come preghiera quotidiana per non dimenticare l’impegno assunto con il
Battesimo. Con parole dense di significato, lo ricorda sant’Agostino quando, in un’Omelia
sulla redditio symboli, la consegna del Credo, dice: “Il simbolo del
santo mistero che avete ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno per uno,
sono le parole su cui è costruita con saldezza la fede della madre Chiesa sopra il
fondamento stabile che è Cristo Signore … Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma
nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri
letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormite
con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore”. 10. Vorrei, a questo punto,
delineare un percorso che aiuti a comprendere in modo più profondo non solo i contenuti
della fede, ma insieme a questi anche l’atto con cui decidiamo di affidarci totalmente
a Dio, in piena libertà. Esiste, infatti, un’unità profonda tra l’atto con cui si
crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso. L’apostolo Paolo permette di entrare
all’interno di questa realtà quando scrive: “Con il cuore … si crede … e con la bocca
si fa la professione di fede” (Rm 10,10). Il cuore indica che il primo atto con cui
si viene alla fede è dono di Dio e azione della grazia che agisce e trasforma la persona
fin nel suo intimo. L’esempio di Lidia è quanto mai eloquente in proposito. Racconta
san Luca che Paolo, mentre si trovava a Filippi, andò di sabato per annunciare il
Vangelo ad alcune donne; tra esse vi era Lidia e il “Signore le aprì il cuore per
aderire alle parole di Paolo” (At 16,14). Il senso racchiuso nell’espressione
è importante. San Luca insegna che la conoscenza dei contenuti da credere non è sufficiente
se poi il cuore, autentico sacrario della persona, non è aperto dalla grazia che consente
di avere occhi per guardare in profondità e comprendere che quanto è stato annunciato
è la Parola di Dio. Professare con la bocca, a sua volta, indica che la fede implica
una testimonianza ed un impegno pubblici. Il cristiano non può mai pensare che credere
sia un fatto privato. La fede è decidere di stare con il Signore per vivere con Lui.
E questo “stare con Lui” introduce alla comprensione delle ragioni per cui si crede.
La fede, proprio perché è atto della libertà, esige anche la responsabilità sociale
di ciò che si crede. La Chiesa nel giorno di Pentecoste mostra con tutta evidenza
questa dimensione pubblica del credere e dell’annunciare senza timore la propria fede
ad ogni persona. È il dono dello Spirito Santo che abilita alla missione e fortifica
la nostra testimonianza, rendendola franca e coraggiosa. La stessa professione
della fede è un atto personale ed insieme comunitario. E’ la Chiesa, infatti, il primo
soggetto della fede. Nella fede della Comunità cristiana ognuno riceve il Battesimo,
segno efficace dell’ingresso nel popolo dei credenti per ottenere la salvezza. Come
attesta il Catechismo della Chiesa Cattolica: “«Io credo»; è la fede della
Chiesa professata personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del Battesimo.
«Noi crediamo» è la fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Concilio,
o più generalmente, dall’assemblea liturgica dei fedeli. «Io credo»: è anche la Chiesa
nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a dire «Io credo»,
«Noi crediamo»”. Come si può osservare, la conoscenza dei contenuti di fede è
essenziale per dare il proprio assenso, cioè per aderire pienamente con l’intelligenza
e la volontà a quanto viene proposto dalla Chiesa. La conoscenza della fede introduce
alla totalità del mistero salvifico rivelato da Dio. L’assenso che viene prestato
implica quindi che, quando si crede, si accetta liberamente tutto il mistero della
fede, perché garante della sua verità è Dio stesso che si rivela e permette di conoscere
il suo mistero di amore. D’altra parte, non possiamo dimenticare che nel nostro
contesto culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono
comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro
esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un autentico “preambolo” alla fede, perché
muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio. La stessa ragione dell’uomo,
infatti, porta insita l’esigenza di “ciò che vale e permane sempre”. Tale esigenza
costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nel cuore umano, a mettersi
in cammino per trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto incontro.
Proprio a questo incontro la fede ci invita e ci apre in pienezza. 11. Per accedere
a una conoscenza sistematica dei contenuti della fede, tutti possono trovare nel Catechismo
della Chiesa Cattolica un sussidio prezioso ed indispensabile. Esso costituisce
uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II. Nella Costituzione Apostolica
Fidei depositum, non a caso firmata nella ricorrenza del trentesimo anniversario
dell’apertura del Concilio Vaticano II, il Beato Giovanni Paolo II scriveva: “Questo
Catechismo apporterà un contributo molto importante a quell’opera di rinnovamento
dell’intera vita ecclesiale… Io lo riconosco come uno strumento valido e legittimo
al servizio della comunione ecclesiale e come una norma sicura per l’insegnamento
della fede”. E’ proprio in questo orizzonte che l’Anno della fede dovrà
esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali
della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi
sistematica e organica. Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa
ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura
ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli,
il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa
ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti
nella loro vita di fede. Nella sua stessa struttura, il Catechismo della Chiesa
Cattolica presenta lo sviluppo della fede fino a toccare i grandi temi della vita
quotidiana. Pagina dopo pagina si scopre che quanto viene presentato non è una teoria,
ma l’incontro con una Persona che vive nella Chiesa. Alla professione di fede, infatti,
segue la spiegazione della vita sacramentale, nella quale Cristo è presente, operante
e continua a costruire la sua Chiesa. Senza la liturgia e i Sacramenti, la professione
di fede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che sostiene la testimonianza
dei cristiani. Alla stessa stregua, l’insegnamento del Catechismo sulla vita
morale acquista tutto il suo significato se posto in relazione con la fede, la liturgia
e la preghiera. 12. In questo Anno, pertanto, il Catechismo della Chiesa
Cattolica potrà essere un vero strumento a sostegno della fede, soprattutto per
quanti hanno a cuore la formazione dei cristiani, così determinante nel nostro contesto
culturale. A tale scopo, ho invitato la Congregazione per la Dottrina della Fede,
in accordo con i competenti Dicasteri della Santa Sede, a redigere una Nota,
con cui offrire alla Chiesa ed ai credenti alcune indicazioni per vivere quest’Anno
della fede nei modi più efficaci ed appropriati, al servizio del credere e dell’evangelizzare.
La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più che nel passato a una serie
di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che, particolarmente oggi,
riduce l’ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche.
La Chiesa tuttavia non ha mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza
non vi possa essere alcun conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono
alla verità. 13. Sarà decisivo nel corso di questo Anno ripercorrere la
storia della nostra fede, la quale vede il mistero insondabile dell’intreccio tra
santità e peccato. Mentre la prima evidenzia il grande apporto che uomini e donne
hanno offerto alla crescita ed allo sviluppo della comunità con la testimonianza della
loro vita, il secondo deve provocare in ognuno una sincera e permanente opera di conversione
per sperimentare la misericordia del Padre che a tutti va incontro. In questo
tempo terremo fisso lo sguardo su Gesù Cristo, “colui che dà origine alla fede e la
porta a compimento” (Eb 12,2): in lui trova compimento ogni travaglio ed anelito
del cuore umano. La gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del
dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita
dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua Incarnazione,
del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con
la potenza della sua Risurrezione. In lui, morto e risorto per la nostra salvezza,
trovano piena luce gli esempi di fede che hanno segnato questi duemila anni della
nostra storia di salvezza. Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credette
all’annuncio che sarebbe divenuta Madre di Dio nell’obbedienza della sua dedizione
(cfr Lc 1,38). Visitando Elisabetta innalzò il suo canto di lode all’Altissimo
per le meraviglie che compiva in quanti si affidano a Lui (cfr Lc 1,46-55).
Con gioia e trepidazione diede alla luce il suo unico Figlio, mantenendo intatta la
verginità (cfr Lc 2,6-7). Confidando in Giuseppe suo sposo, portò Gesù in Egitto
per salvarlo dalla persecuzione di Erode (cfr Mt 2,13-15). Con la stessa fede
seguì il Signore nella sua predicazione e rimase con Lui fin sul Golgota (cfr Gv
19,25-27). Con fede Maria assaporò i frutti della risurrezione di Gesù e, custodendo
ogni ricordo nel suo cuore (cfr Lc 2,19.51), lo trasmise ai Dodici riuniti
con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo (cfr At 1,14; 2,1-4). Per
fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire il Maestro (cfr Mc 10,28).
Credettero alle parole con le quali annunciava il Regno di Dio presente e realizzato
nella sua persona (cfr Lc 11,20). Vissero in comunione di vita con Gesù che
li istruiva con il suo insegnamento, lasciando loro una nuova regola di vita con la
quale sarebbero stati riconosciuti come suoi discepoli dopo la sua morte (cfr Gv
13,34-35). Per fede andarono nel mondo intero, seguendo il mandato di portare il Vangelo
ad ogni creatura (cfr Mc 16,15) e, senza alcun timore, annunciarono a tutti
la gioia della risurrezione di cui furono fedeli testimoni. Per fede i discepoli
formarono la prima comunità raccolta intorno all’insegnamento degli Apostoli, nella
preghiera, nella celebrazione dell’Eucaristia, mettendo in comune quanto possedevano
per sovvenire alle necessità dei fratelli (cfr At 2,42-47). Per fede i
martiri donarono la loro vita, per testimoniare la verità del Vangelo che li aveva
trasformati e resi capaci di giungere fino al dono più grande dell’amore con il perdono
dei propri persecutori. Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita
a Cristo, lasciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l’obbedienza, la
povertà e la castità, segni concreti dell’attesa del Signore che non tarda a venire.
Per fede tanti cristiani hanno promosso un’azione a favore della giustizia per rendere
concreta la parola del Signore, venuto ad annunciare la liberazione dall’oppressione
e un anno di grazia per tutti (cfr Lc 4,18-19). Per fede, nel corso dei
secoli, uomini e donne di tutte le età, il cui nome è scritto nel Libro della vita
(cfr Ap 7,9; 13,8), hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù
là dove venivano chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia,
nella professione, nella vita pubblica, nell’esercizio dei carismi e ministeri ai
quali furono chiamati. Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo
del Signore Gesù, presente nella nostra esistenza e nella storia. 14. L’Anno
della fede sarà anche un’occasione propizia per intensificare la testimonianza
della carità. Ricorda san Paolo: “Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la
speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!” (1Cor 13,13).
Con parole ancora più forti - che da sempre impegnano i cristiani - l’apostolo Giacomo
affermava: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere?
Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e
sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi
e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così
anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno
potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere,
ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede»” (Gc 2,14-18). La fede senza
la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia
costante del dubbio. Fede e carità si esigono a vicenda, così che l’una permette all’altra
di attuare il suo cammino. Non pochi cristiani, infatti, dedicano la loro vita con
amore a chi è solo, emarginato o escluso come a colui che è il primo verso cui andare
e il più importante da sostenere, perché proprio in lui si riflette il volto stesso
di Cristo. Grazie alla fede possiamo riconoscere in quanti chiedono il nostro amore
il volto del Signore risorto. “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei
fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40): queste sue parole sono
un monito da non dimenticare ed un invito perenne a ridonare quell’amore con cui Egli
si prende cura di noi. E’ la fede che permette di riconoscere Cristo ed è il suo stesso
amore che spinge a soccorrerlo ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della
vita. Sostenuti dalla fede, guardiamo con speranza al nostro impegno nel mondo, in
attesa di “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt
3,13; cfr Ap 21,1). 15. Giunto ormai al termine della sua vita, l’apostolo
Paolo chiede al discepolo Timoteo di “cercare la fede” (cfr 2Tm 2,22) con la
stessa costanza di quando era ragazzo (cfr 2Tm 3,15). Sentiamo questo invito
rivolto a ciascuno di noi, perché nessuno diventi pigro nella fede. Essa è compagna
di vita che permette di percepire con sguardo sempre nuovo le meraviglie che Dio compie
per noi. Intenta a cogliere i segni dei tempi nell’oggi della storia, la fede impegna
ognuno di noi a diventare segno vivo della presenza del Risorto nel mondo. Ciò di
cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno è la testimonianza credibile di quanti,
illuminati nella mente e nel cuore dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire
il cuore e la mente di tanti al desiderio di Dio e della vita vera, quella che non
ha fine. “La Parola del Signore corra e sia glorificata” (2Ts 3,1): possa
questo Anno della fede rendere sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore,
poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e la garanzia di un amore
autentico e duraturo. Le parole dell’apostolo Pietro gettano un ultimo squarcio di
luce sulla fede: “Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un
po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova,
molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco –
torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate,
pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia
indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle
anime” (1Pt 1,6-9). La vita dei cristiani conosce l’esperienza della gioia
e quella della sofferenza. Quanti Santi hanno vissuto la solitudine! Quanti credenti,
anche ai nostri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre vorrebbero ascoltare
la sua voce consolante! Le prove della vita, mentre consentono di comprendere il mistero
della Croce e di partecipare alle sofferenze di Cristo (cfr Col 1,24), sono
preludio alla gioia e alla speranza cui la fede conduce: “quando sono debole, è allora
che sono forte” (2Cor 12,10). Noi crediamo con ferma certezza che il Signore
Gesù ha sconfitto il male e la morte. Con questa sicura fiducia ci affidiamo a Lui:
Egli, presente in mezzo a noi, vince il potere del maligno (cfr Lc 11,20) e
la Chiesa, comunità visibile della sua misericordia, permane in Lui come segno della
riconciliazione definitiva con il Padre. Affidiamo alla Madre di Dio, proclamata
“beata” perché “ha creduto” (Lc 1,45), questo tempo di grazia.
Dato
a Roma, presso San Pietro, l’11 ottobre dell’Anno 2011, settimo di Pontificato.