Obama: “nel governo di Teheran i mandanti del piano per uccidere l’ambasciatore saudita”.
“Qualcuno dovrà rendere conto” del complotto che agenti iraniani stavano ordendo sul
territorio degli Stati Uniti, per uccidere l’ambasciatore saudita. Così il presidente
degli Stati Uniti, Barack Obama, convinto che i mandanti di quel piano sono nel governo
guidato da Ahmadinejad. Per questo, il capo della Casa Bianca promette sanzioni durissime,
per isolare sempre di più Teheran, che continua però a respingere ogni addebito. Salvatore
Sabatino ne ha parlato con Antonello Sacchetti, esperto di questioni iraniane.
R. – Dopo
diversi mesi si riparla di Iran, che dopo la primavera araba, il conflitto in Libia,
era uscito dall’agenda internazionale, almeno apparentemente. Questo è già un dato
di fatto. La primissima impressione è che appunto ci sia un rafforzamento di un asse
tra l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti in chiara chiave anti-iraniana: questa è una
cosa evidente, al punto che anche la reazione iraniana mi sembra molto forte: hanno
toccato una sensibilità molto viva.
D. – Ricordiamo che Stati Uniti e Arabia
Saudita, durante la Prima Guerra del Golfo contro l’Iraq, erano praticamente unite,
nella Seconda invece hanno avuto qualche problema diplomatico. Questo vuol dire che
si sta ricompattando l’asse Washington-Riad?
R. – Apparentemente sì. Io vorrei
ricordare anche che Arabia Saudita e Stati Uniti sono stati i principali sostenitori
politici, nonché militari, dell’Iraq, nella guerra contro l’Iran. In questo momento,
sicuramente, c’è una situazione molto più complicata di quello che sta avvenendo in
Medio Oriente, soprattutto nel Mediterraneo. E’ evidente, però, che c’è una situazione
nuova, che è data anche dal fatto che l’Iran è in difficoltà evidente rispetto a quello
che è l’unico alleato della regione, cioè la Siria, che sta attraversando una crisi
interna abbastanza grave.
D. – Su una cosa non ci sono dubbi, l’Iran periodicamente
torna in primo piano nell’agenda internazionale, soprattutto un’agenda fatta di crisi.
Perché?
R. – Mi sembra evidente che entriamo in una fase che, politicamente,
è molto delicata, per una serie di scadenze. L’Iran si appresta a vivere un anno particolarmente
travagliato, perché in primavera si voterà per il parlamento e il fronte conservatore
è quanto mai diviso. La partita, in questo momento, è molto alta ed è interna. Tra
un anno si rivoterà per la presidenza e sappiamo già che Ahmadinejad non ci sarà,
perché non può ricandidarsi per una terza volta. Dall’altra parte, anche gli Stati
Uniti sono ad un anno preelettorale e da un certo punto di vista ci sono molte questioni
rimaste ancora in sospeso: l’Afghanistan, l’Iraq, la situazione nuova per quanto riguarda
i Paesi del Golfo Persico, e lì rientra l’Iran come fattore che può essere sia di
stabilizzazione che di destabilizzazione. Mi sembra che questa sia un’accelerazione
anche abbastanza improvvisa. Su quali basi tutto questo poi avvenga è tutto da discutere.
Io personalmente rimango sempre un po’ perplesso quando c’è un attentato che si fa
attraverso un’organizzazione che passa per bonifici bancari, per noleggio di aerei
privati e tutte cose più che mai tracciabili. Ora è vero che dopo l’11 settembre siamo
abituati a prendere tutto per buono, tutto per verissimo, ma io sarei più cauto su
tutto. (ap)