2011-10-12 15:58:17

Disastro ambientale nella baia della Nuova Zelanda


Il rischio di una catastrofe ambientale irrimediabile: è lo scenario che si apre nella baia della Nuova Zelanda famosa per la sua fauna marina, dove da una settimana è incagliata una nave portacontainer della Nuova Zelanda. La situazione si fa più grave perché oggi sono comparse grosse fratture nello scafo. Il servizio di Fausta Speranza:RealAudioMP3

Si tratta di una baia con una barriera corallina a 22 km dalla costa. E di una nave di 47 mila tonnellate di stazza. Finora dai serbatoi sono fuoriuscite almeno 300 tonnellate di petrolio che hanno contaminato le spiagge. Sono 70 i container caduti in mare. La metà di prua della nave lunga 236 metri è fermamente incastrata nei banchi corallini, la poppa è sommersa a più di 90 metri di profondità e lo scafo è inclinato di 18 gradi. Il rischio è confermato dal premier stesso della Nuova Zelanda: che la nave si spacchi e affondi, riversando in mare più di 1300 tonnellate di petrolio. In ogni caso, per il disastro già tangibile il comandante è stato arrestato ed è comparso davanti a un tribunale di Tauranga, il porto a cui la nave era diretta. È stato incriminato secondo la legge marittima, che riguarda attività pericolosa che coinvolga navi o altri prodotti marittimi. È stato rinviato a giudizio e liberato su cauzione, e rischia fino a 12 mesi di carcere e una multa pari a 5.700 euro. Intanto, centinaia di militari e di volontari sono impegnati nelle operazioni di pulizia sulle spiagge, raggiunte dalle dense bolle nere.

La zona interessata dal disastro ambientale costituisce un’area particolarmente ricca da un punto di vista biologico. Lo conferma, al microfono di Paolo Ondarza, Alessandro Giannì, responsabile campagne Greenpeace:RealAudioMP3

R. - La zona è famosa per la sua biodiversità, ma anche per la sua bellezza e quindi ha anche un elevato valore per quel che riguarda l’economia del turismo della Nuova Zelanda. E’ una zona ricca di uccelli e non a caso se ne contano già 200 morti. Ed è una zona anche importante per la riproduzione di varie specie di cetacei, come balene e delfini, che purtroppo comincia proprio adesso.

D. - Trecento tonnellate di petrolio hanno già contaminato le spiagge: circa 70 container sono caduti in mare e il danno potrebbe essere anche maggiore…

R. - Nella nave dovrebbero esserci circa 1.700 tonnellate di carburante, però questo non è greggio, ma è carburante e quindi vuol dire che sono più concentrate le sostanze pericolose, come i cosiddetti idrocarburi policiclici e aromatici e come sostanze cancerogene e tossiche. Ovviamente, hanno impatti che dipendono dalla loro concentrazione e quindi dai quantitativi. Da questo punto di vista, le ultime notizie non sono buone: per la prima volta le autorità marittime della Nuova Zelanda ammettono che la nave rischia seriamente di rompersi e questo perché c’è stata una perturbazione, tempo brutto ed onde fino a cinque metri. C’è quindi il rischio che la navi si spezzi, che i container vadano in giro per il mare - e questo è anche un altro problema, perché nei container ci può essere di tutto - e purtroppo è possibile che ci siano danni a lungo termine.

D. - Direttore, parliamo sempre di incidenti, ma nel caso specifico sono evitabili catastrofi di questo genere?

R. - C’è sempre un margine di imprevedibilità e questo sembra un incidente che poteva essere facilmente evitato perché la nave, prima in Australia e poi anche in Nuova Zelanda, era stata oggetto di ispezioni che avevano trovato la mancanza di alcune dotazioni di sicurezza: mancavano, ad esempio, alcune carte nautiche. Non è la prima volta, e temo non sarà l’ultima, che gli interessi economici mettano in pericolo, poi, la collettività.

D. - Greenpeace come è mobilitata in questo momento?

R. - Stiamo facendo soprattutto attività di informazione. Ci sono molti volontari, anche di Greenpeace, che sono lì, sulle spiagge, per aiutare. Ci danno poi informazioni su quello che succede.

D. - In cosa consiste l’attività di questi volontari?

R. - Soprattutto nel lavoro di raccogliere gli uccelli feriti, perché gli uccelli che si imbrattano con gli idrocarburi perdono il rivestimento protettivo che li isola, si bagnano e quindi si appesantiscono e non possono più volare, mentre gli uccelli marini normalmente non si bagnano. In quelle condizioni sentono freddo e quindi muoiono di ipertermia. Trovando un uccello in quelle condizioni è importante portarlo immediatamente al caldo, pulirlo dalle scorie degli idrocarburi e far ricostruire lo strato protettivo. Inoltre, esiste anche il problema della protezione delle spiagge: ho letto di circa 10 mila tonnellate di sabbia che dovranno essere ripulite... (mg)







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