Disastro ambientale nella baia della Nuova Zelanda
Il rischio di una catastrofe ambientale irrimediabile: è lo scenario che si apre nella
baia della Nuova Zelanda famosa per la sua fauna marina, dove da una settimana è incagliata
una nave portacontainer della Nuova Zelanda. La situazione si fa più grave perché
oggi sono comparse grosse fratture nello scafo. Il servizio di Fausta Speranza:
Si tratta
di una baia con una barriera corallina a 22 km dalla costa. E di una nave di 47 mila
tonnellate di stazza. Finora dai serbatoi sono fuoriuscite almeno 300 tonnellate di
petrolio che hanno contaminato le spiagge. Sono 70 i container caduti in mare. La
metà di prua della nave lunga 236 metri è fermamente incastrata nei banchi corallini,
la poppa è sommersa a più di 90 metri di profondità e lo scafo è inclinato di 18 gradi.
Il rischio è confermato dal premier stesso della Nuova Zelanda: che la nave si spacchi
e affondi, riversando in mare più di 1300 tonnellate di petrolio. In ogni caso, per
il disastro già tangibile il comandante è stato arrestato ed è comparso davanti a
un tribunale di Tauranga, il porto a cui la nave era diretta. È stato incriminato
secondo la legge marittima, che riguarda attività pericolosa che coinvolga navi o
altri prodotti marittimi. È stato rinviato a giudizio e liberato su cauzione, e rischia
fino a 12 mesi di carcere e una multa pari a 5.700 euro. Intanto, centinaia di militari
e di volontari sono impegnati nelle operazioni di pulizia sulle spiagge, raggiunte
dalle dense bolle nere.
La zona interessata dal disastro ambientale costituisce
un’area particolarmente ricca da un punto di vista biologico. Lo conferma, al microfono
di Paolo Ondarza, Alessandro Giannì, responsabile campagne Greenpeace:
R. - La zona
è famosa per la sua biodiversità, ma anche per la sua bellezza e quindi ha anche un
elevato valore per quel che riguarda l’economia del turismo della Nuova Zelanda. E’
una zona ricca di uccelli e non a caso se ne contano già 200 morti. Ed è una zona
anche importante per la riproduzione di varie specie di cetacei, come balene e delfini,
che purtroppo comincia proprio adesso.
D. - Trecento tonnellate di
petrolio hanno già contaminato le spiagge: circa 70 container sono caduti in mare
e il danno potrebbe essere anche maggiore…
R. - Nella nave dovrebbero
esserci circa 1.700 tonnellate di carburante, però questo non è greggio, ma è carburante
e quindi vuol dire che sono più concentrate le sostanze pericolose, come i cosiddetti
idrocarburi policiclici e aromatici e come sostanze cancerogene e tossiche. Ovviamente,
hanno impatti che dipendono dalla loro concentrazione e quindi dai quantitativi. Da
questo punto di vista, le ultime notizie non sono buone: per la prima volta le autorità
marittime della Nuova Zelanda ammettono che la nave rischia seriamente di rompersi
e questo perché c’è stata una perturbazione, tempo brutto ed onde fino a cinque metri.
C’è quindi il rischio che la navi si spezzi, che i container vadano in giro per il
mare - e questo è anche un altro problema, perché nei container ci può essere di tutto
- e purtroppo è possibile che ci siano danni a lungo termine.
D. -
Direttore, parliamo sempre di incidenti, ma nel caso specifico sono evitabili catastrofi
di questo genere?
R. - C’è sempre un margine di imprevedibilità e questo
sembra un incidente che poteva essere facilmente evitato perché la nave, prima in
Australia e poi anche in Nuova Zelanda, era stata oggetto di ispezioni che avevano
trovato la mancanza di alcune dotazioni di sicurezza: mancavano, ad esempio, alcune
carte nautiche. Non è la prima volta, e temo non sarà l’ultima, che gli interessi
economici mettano in pericolo, poi, la collettività.
D. - Greenpeace
come è mobilitata in questo momento?
R. - Stiamo facendo soprattutto
attività di informazione. Ci sono molti volontari, anche di Greenpeace, che sono lì,
sulle spiagge, per aiutare. Ci danno poi informazioni su quello che succede.
D.
- In cosa consiste l’attività di questi volontari?
R. - Soprattutto
nel lavoro di raccogliere gli uccelli feriti, perché gli uccelli che si imbrattano
con gli idrocarburi perdono il rivestimento protettivo che li isola, si bagnano e
quindi si appesantiscono e non possono più volare, mentre gli uccelli marini normalmente
non si bagnano. In quelle condizioni sentono freddo e quindi muoiono di ipertermia.
Trovando un uccello in quelle condizioni è importante portarlo immediatamente al caldo,
pulirlo dalle scorie degli idrocarburi e far ricostruire lo strato protettivo. Inoltre,
esiste anche il problema della protezione delle spiagge: ho letto di circa 10 mila
tonnellate di sabbia che dovranno essere ripulite... (mg)