Corno d'Africa: in Somalia ucciso un collaboratore di Sos Villaggi dei Bambini
Un collaboratore di Sos Villaggi dei Bambini, Ali Shabye, è stato ucciso a Mogadiscio.
Negli ultimi tre giorni, la strada a nord della capitale somala che divide il villaggio
Sos e l'Ospedale è stata teatro di scontri tra truppe governative e il gruppo Al Shabab.
Fortunatamente i bambini accolti nelle case famiglia erano già stati trasferiti nel
mese di agosto, per motivi di sicurezza, in un'altra area. La situazione nel Paese,
soprattutto per i minori, resta drammatica. Il tasso di mortalità infantile sotto
i cinque anni in Somalia è allarmante: la media, secondo quanto emerge dai dati delle
Nazioni Unite forniti dall’Office for the Coordination of Humanitarian Affairs, è
di 15.43 morti ogni 10.000 bambini. In questo drammatico scenario, Sos Villaggi dei
Bambini continua a sostenere la popolazione di Mogadiscio, dove migliaia di persone
colpite dalla carestia hanno trovato rifugio in più di 180 campi, nonostante la mancanza
di sicurezza e le forti restrizioni. A Mogadiscio, il Centro Medico nel campo rifugiati
di Badbado, l’Ospedale Sos e i Centri di terapia alimentare, hanno distribuito cibo,
cure mediche e nutrizionali a più di 11.700 persone, di cui più di 4.800 sono bambini
sotto i cinque anni. Risposte concrete, preziose per rispondere alle necessità della
popolazione del Corno d’Africa, arrivano in particolare anche dalle varie realtà missionarie
cristiane. Il vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio esprime
soddisfazione per “la risposta del mondo cattolico all’appello lanciato dal Santo
Padre per la Somalia e gli altri Paesi del Corno d’Africa”. Il cardinale Robert Sarah,
presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, ha lanciato un appello per andare
oltre la fase di emergenza, auspicando la creazione di una scuola in ogni villaggio,
in modo da offrire una possibilità di sviluppo ai giovani. “Sono rimasto colpito dall’appello
del cardinale Sarah – ha aggiunto mons. Bertin - anche perché prima di venire a Roma
avevamo da poco inaugurato una scuola primaria nel villaggio di Itki, a nord di Gibuti.
La scuola è stata costruita grazie ad una donazione dell’eredità di una signora, pervenutaci
attraverso i miei confratelli francescani. La nostra preoccupazione – ha spiegato
il presule le cui parole sono state riprese da Fides - è andare oltre la fase dell’emergenza,
per far sì che in futuro non si verifichino crisi umanitarie di questa portata. Per
questo occorre una strategia a lungo termine, che preveda aiuti al mondo agricolo
e pastorizio locale per superare le sue fragilità strutturali che sfociano in queste
tragedie. Occorre anche rivedere - conclude mons. Bertin - i meccanismi finanziari
internazionali che rendono ancora più fragili i Paesi deboli”. (A.L.)