Il Papa nella Certosa di Serra San Bruno: nell'apparente "vuoto" del silenzio si scopre
la "pienezza" della presenza di Dio
Tappa conclusiva del primo viaggio di Benedetto XVI in Calabria , è stata la celebrazione
dei Vespri nella Certosa di Serra San Bruno. Qui il Papa ha ricordato il carisma
della Certosa: “ritirandosi nel silenzio e nella solitudine, l’uomo, per così dire,
si ‘espone’ al reale nella sua nudità, si espone a quell’apparente ‘vuoto’ … per sperimentare
invece la Pienezza, la presenza di Dio, della Realtà più reale che ci sia, e che sta
oltre la dimensione sensibile. E’ una presenza percepibile in ogni creatura: nell’aria
che respiriamo, nella luce che vediamo e che ci scalda, nell’erba, nelle pietre… Dio,
Creator omnium, attraversa ogni cosa, ma è oltre, e proprio per questo è il fondamento
di tutto. Il monaco, lasciando tutto, per così dire ‘rischia’: si espone alla solitudine
e al silenzio per non vivere di altro che dell’essenziale, e proprio nel vivere dell’essenziale
trova anche una profonda comunione con i fratelli, con ogni uomo”. Di seguito il testo
dell’omelia:
Venerati Fratelli nell’Episcopato, cari Fratelli
Certosini, fratelli e sorelle! Rendo grazie al Signore che mi
ha condotto in questo luogo di fede e di preghiera, la Certosa di Serra San Bruno.
Nel rinnovare il mio saluto riconoscente a Mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo di
Catanzaro-Squillace, mi rivolgo con grande affetto a questa Comunità Certosina, a
ciascuno dei suoi membri, a partire dal Priore, Padre Jacques Dupont, che ringrazio
di cuore per le sue parole, pregandolo di far giungere il mio pensiero grato e benedicente
al Ministro Generale e alle Monache dell’Ordine.
Mi è caro anzitutto
sottolineare come questa mia Visita si ponga in continuità con alcuni segni di forte
comunione tra la Sede Apostolica e l’Ordine Certosino, avvenuti nel corso del secolo
scorso. Nel 1924 il Papa Pio XI emanò una Costituzione Apostolica con la quale approvò
gli Statuti dell’Ordine, riveduti alla luce del Codice di Diritto Canonico. Nel maggio
1984, il beato Giovanni Paolo II indirizzò al Ministro Generale una speciale Lettera,
in occasione del nono centenario della fondazione da parte di san Bruno della prima
comunità alla Chartreuse, presso Grenoble. Il 5 ottobre di quello stesso anno, il
mio amato Predecessore venne qui, e il ricordo del suo passaggio tra queste mura è
ancora vivo. Nella scia di questi eventi passati, ma sempre attuali, vengo a voi oggi,
e vorrei che questo nostro incontro mettesse in risalto un legame profondo che esiste
tra Pietro e Bruno, tra il servizio pastorale all’unità della Chiesa e la vocazione
contemplativa nella Chiesa. La comunione ecclesiale infatti ha bisogno di una forza
interiore, quella forza che poco fa il Padre Priore ricordava citando l’espressione
“captus ab Uno”, riferita a san Bruno: “afferrato dall’Uno”, da Dio, “Unus potens
per omnia”, come abbiamo cantato nell’Inno dei Vespri. Il ministero dei Pastori trae
dalle comunità contemplative una linfa spirituale che viene da Dio.
“Fugitiva
relinquere et aeterna captare”: abbandonare le realtà fuggevoli e cercare di afferrare
l’eterno. In questa espressione della lettera che il vostro Fondatore indirizzò al
Prevosto di Reims, Rodolfo, è racchiuso il nucleo della vostra spiritualità (cfr Lettera
a Rodolfo, 13): il forte desiderio di entrare in unione di vita con Dio, abbandonando
tutto il resto, tutto ciò che impedisce questa comunione e lasciandosi afferrare dall’immenso
amore di Dio per vivere solo di questo amore. Cari fratelli, voi avete trovato il
tesoro nascosto, la perla di grande valore (cfr Mt 13,44-46); avete risposto con radicalità
all’invito di Gesù: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo
ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!” (Mt 19,21). Ogni monastero
– maschile o femminile – è un’oasi in cui, con la preghiera e la meditazione, si scava
incessantemente il pozzo profondo dal quale attingere l’“acqua viva” per la nostra
sete più profonda. Ma la Certosa è un’oasi speciale, dove il silenzio e la solitudine
sono custoditi con particolare cura, secondo la forma di vita iniziata da san Bruno
e rimasta immutata nel corso dei secoli. “Abito nel deserto con dei fratelli”, è la
frase sintetica che scriveva il vostro Fondatore (Lettera a Rodolfo, 4). La visita
del Successore di Pietro in questa storica Certosa intende confermare non solo voi,
che qui vivete, ma l’intero Ordine nella sua missione, quanto mai attuale e significativa
nel mondo di oggi.
Il progresso tecnico, segnatamente nel campo dei
trasporti e delle comunicazioni, ha reso la vita dell’uomo più confortevole, ma anche
più concitata, a volte convulsa. Le città sono quasi sempre rumorose: raramente in
esse c’è silenzio, perché un rumore di fondo rimane sempre, in alcune zone anche di
notte. Negli ultimi decenni, poi, lo sviluppo dei media ha diffuso e amplificato un
fenomeno che già si profilava negli anni Sessanta: la virtualità che rischia di dominare
sulla realtà. Sempre più, anche senza accorgersene, le persone sono immerse in una
dimensione virtuale, a causa di messaggi audiovisivi che accompagnano la loro vita
da mattina a sera. I più giovani, che sono nati già in questa condizione, sembrano
voler riempire di musica e di immagini ogni momento vuoto, quasi per paura di sentire,
appunto, questo vuoto. Si tratta di una tendenza che è sempre esistita, specialmente
tra i giovani e nei contesti urbani più sviluppati, ma essa ha raggiunto un livello
tale da far parlare di mutazione antropologica. Alcune persone non sono più capaci
di rimanere a lungo in silenzio e in solitudine.
Ho voluto accennare
a questa condizione socioculturale, perché essa mette in risalto il carisma specifico
della Certosa, come un dono prezioso per la Chiesa e per il mondo, un dono che contiene
un messaggio profondo per la nostra vita e per l’umanità intera. Lo riassumerei così:
ritirandosi nel silenzio e nella solitudine, l’uomo, per così dire, si “espone” al
reale nella sua nudità, si espone a quell’apparente “vuoto” cui accennavo prima, per
sperimentare invece la Pienezza, la presenza di Dio, della Realtà più reale che ci
sia, e che sta oltre la dimensione sensibile. E’ una presenza percepibile in ogni
creatura: nell’aria che respiriamo, nella luce che vediamo e che ci scalda, nell’erba,
nelle pietre… Dio, Creator omnium, attraversa ogni cosa, ma è oltre, e proprio per
questo è il fondamento di tutto. Il monaco, lasciando tutto, per così dire “rischia”:
si espone alla solitudine e al silenzio per non vivere di altro che dell’essenziale,
e proprio nel vivere dell’essenziale trova anche una profonda comunione con i fratelli,
con ogni uomo.
Qualcuno potrebbe pensare che sia sufficiente venire
qui per fare questo “salto”. Ma non è così. Questa vocazione, come ogni vocazione,
trova risposta in un cammino, nella ricerca di tutta una vita. Non basta infatti ritirarsi
in un luogo come questo per imparare a stare alla presenza di Dio. Come nel matrimonio
non basta celebrare il Sacramento per diventare effettivamente una cosa sola, ma occorre
lasciare che la grazia di Dio agisca e percorrere insieme la quotidianità della vita
coniugale, così il diventare monaci richiede tempo, esercizio, pazienza, “in una perseverante
vigilanza divina – come affermava san Bruno – attendendo il ritorno del Signore per
aprirgli immediatamente la porta” (Lettera a Rodolfo, 4); e proprio in questo consiste
la bellezza di ogni vocazione nella Chiesa: dare tempo a Dio di operare con il suo
Spirito e alla propria umanità di formarsi, di crescere secondo la misura della maturità
di Cristo, in quel particolare stato di vita. In Cristo c’è il tutto, la pienezza;
noi abbiamo bisogno di tempo per fare nostra una delle dimensioni del suo mistero.
Potremmo dire che questo è un cammino di trasformazione in cui si attua e si manifesta
il mistero della risurrezione di Cristo in noi, mistero a cui ci ha richiamato questa
sera la Parola di Dio nella Lettura biblica, tratta dalla Lettera ai Romani: lo Spirito
Santo, che ha risuscitato Gesù dai morti, e che darà la vita anche ai nostri corpi
mortali (cfr Rm 8,11), è Colui che opera anche la nostra configurazione a Cristo secondo
la vocazione di ciascuno, un cammino che si snoda dal fonte battesimale fino alla
morte, passaggio verso la casa del Padre. A volte, agli occhi del mondo, sembra impossibile
rimanere per tutta la vita in un monastero, ma in realtà tutta una vita è appena sufficiente
per entrare in questa unione con Dio, in quella Realtà essenziale e profonda che è
Gesù Cristo.
Per questo sono venuto qui, cari Fratelli che formate la
Comunità certosina di Serra San Bruno! Per dirvi che la Chiesa ha bisogno di voi,
e che voi avete bisogno della Chiesa. Il vostro posto non è marginale: nessuna vocazione
è marginale nel Popolo di Dio: siamo un unico corpo, in cui ogni membro è importante
e ha la medesima dignità, ed è inseparabile dal tutto. Anche voi, che vivete in un
volontario isolamento, siete in realtà nel cuore della Chiesa, e fate scorrere nelle
sue vene il sangue puro della contemplazione e dell’amore di Dio.
Stat
Crux dum volvitur orbis – così recita il vostro motto. La Croce di Cristo è il punto
fermo, in mezzo ai mutamenti e agli sconvolgimenti del mondo. La vita in una Certosa
partecipa della stabilità della Croce, che è quella di Dio, del suo amore fedele.
Rimanendo saldamente uniti a Cristo, come tralci alla Vite, anche voi, Fratelli Certosini,
siete associati al suo mistero di salvezza, come la Vergine Maria, che presso la Croce
stabat, unita al Figlio nella stessa oblazione d’amore. Così, come Maria e insieme
con lei, anche voi siete inseriti profondamente nel mistero della Chiesa, sacramento
di unione degli uomini con Dio e tra di loro. In questo voi siete anche singolarmente
vicini al mio ministero. Vegli dunque su di noi la Madre Santissima della Chiesa,
e il santo Padre Bruno benedica sempre dal Cielo la vostra Comunità. Amen.