Nobel per la pace 2011 a tre donne. Soddisfazione del Pontificio Consiglio Giustizia
e Pace
Assegnato a Oslo il premio Nobel per la Pace 2011. Il prestigioso riconoscimento è
andato a tre donne: la presidente della Liberia, Ellen Johnson-Sirleaf, le attiviste
per la democrazia Leymah Gbowee, anche lei liberiana, e la yemenita Tawakkul Karman,
che ha dedicato il riconoscimento alla “primavera araba”. Il servizio di Giancarlo
La Vella:
Parla al
femminile il Nobel per la pace 2011 e del ruolo fondamentale che queste tre donne
hanno avuto e stanno avendo nella lotta per la democrazia. Ma quello assegnato stamani
ad Oslo è un premio conferito soprattutto - dice la motivazione -
"per la loro battaglia non violenta per la sicurezza delle donne e per il diritto
delle donne di partecipare pienamente al lavoro di costruzione della pace". Ellen
Johnson-Sirleaf, prima donna presidente in Africa, 72 anni, eletta nel 2005,
martedì prossimo attende il responso delle urne per un eventuale secondo mandato.
A lei si riconosce il merito di aver portato stabilità sociale e politica in un Paese
martoriato da sanguinose guerre civili. Nel suo curriculum politico, terminato con
l’assunzione della più alta responsabilità, anche l’esilio e la prigione. Stessi meriti
per Leymah Gbowee, e leader di un movimento che collaborò alla conclusione
della guaerra civile nel 2003. Si è battuta strenuamente perché venisse riconosciuto
alle donne il diritto di voto. E il Nobel per la pace 2011 ha voluto dare un riconoscimento
esplicito anche alla cosiddetta “primavera araba”, in particolare nello Yemen, Paese
nel quale Tawakkul Karman ha pagato sulla sua pelle con il carcere e la discriminazione
l’essersi battuta per i diritti delle donne nel Paese, chiedendo pace e democrazia
al regime del presidente Saleh. Lo scorso gennaio era stata arrestata dalle forze
di Sanaa con l’accusa di propaganda contro il governo. E' stata liberata dopo due
settimane. Celebre la sua intervista alla Cnn, nella quale ha confermato l’impegno
contro il regime yemenita, dando in qualche modo ufficialità alla trasversalità del
movimento della “primavera araba”, attraverso la conferma che quanto stava accadendo
nello Yemen era stato ispirato dalla rivolta già scoppiata in Tunisia.
Gioia
per l’assegnazione del premio Nobel per la pace a tre donne è stata espressa dal cardinale
Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia
e della Pace. Questa la sua dichiarazione al microfono di Sergio Centofanti:
R.
– E’ certamente una cosa molto nobile e incoraggiante per le donne, se le loro iniziative
vengono riconosciute a livello mondiale; è una cosa molto positiva e un buon segno
anche per le altre donne e un buon incoraggiamento per tutte le altre loro iniziative.
Conosco la presidente liberiana e posso testimoniare che la sua leadership, la sua
iniziativa a livello politico, è molto apprezzata da noi, in tutta la zona dell’Africa
Occidentale. Dirigere il Paese dopo la guerra civile è stata una cosa molto, molto
difficile, e lei ha dovuto guidare un Paese con fazioni e membri del governo opposti.
E’ una cosa da apprezzare. Per quanto riguarda l’altra attivista liberiana, bisogna
dire che ha condotto una grande campagna a favore delle donne in una situazione di
guerra civile, come in Liberia, dove tantissime donne hanno sofferto - c’è chi è stata
rapita, chi è stata violentata - e nel periodo dopo la guerra la riabilitazione di
queste donne, con tutte le loro storie di abusi, è stata una cosa molto triste. E’
stata una persona che ha incoraggiato le donne a tenere sempre alta la testa ed è
una cosa da apprezzare. Sono contento che il mondo apprezzi tali iniziative e abbia
voluto premiarle in maniera così clamorosa. Do anche il mio appoggio all’attivista
yemenita per quello che ha fatto. Apprezzo, dunque, che la comunità internazionale
riconosca le iniziative di queste donne. (ap)
Ma cosa rappresenta questo
premio per le tante donne che partecipano alla vita civile dei Paesi in via di sviluppo?
Marco Guerra lo ha chiesto a suor Eugenia Bonetti, missionaria della
Consolata, molto attiva contro la tratta delle donne, in particolare in Africa:
R. – Siamo
felicissime di questo Premio, perché ultimamente noi avevamo lavorato molto, anche
attraverso una campagna, perché fosse riconosciuto il ruolo svolto da tutte le donne
africane, perché in modi diversi sono veramente loro che portano avanti il peso maggiore
di questo grande continente. Questo riconoscimento non è stato possibile. Però, siamo
felici che almeno tre donne abbiano avuto la possibilità di essere riconosciute a
livello internazionale.
D. – Le donne premiate oggi rappresentano un’eccezione
o c’è una presa di coscienza diffusa in questi Paesi?
R. – Non direi
che queste donne rappresentano soltanto l’élite. Loro rappresentano questo mondo di
donne che giorno per giorno, come le formichine, stanno costruendo la vita di questo
grande continente e stanno dando veramente visibilità, credibilità, tenacia, una visione
nuova che un mondo diverso è possibile nonostante le molte difficoltà che esse incontrano.
Quindi, questo premio dato a queste donne sarà certamente un grande incentivo, un
premio che sarà dedicato anche a tutte le donne per il forte impegno che stanno dando
in questo periodo per l’edificazione e per l’emancipazione di un’Africa con un volto
nuovo.
D. – La partecipazione delle donne alla vita civile può essere
considerata la chiave di volta per lo sviluppo di intere aree del mondo?
R.
– Lo è certamente, e lo dimostrano chiaramente il lavoro, la fatica, la tenacia che
moltissime donne del continente africano, ma anche di altre parti del mondo, stanno
mettendo proprio per un cambiamento: un cambiamento di mentalità, un cambiamento di
politiche – anche – di economia. Lavorando insieme, perché la forza delle donne è
proprio questa: sapersi mettere insieme. Ricordo molto bene la famosa frase che si
diceva in Kenya, dove io sono stata per tanti anni: "arambé" – lavorare insieme per
costruire un mondo diverso.
D. – Da questi Paesi può nascere anche un
modello diverso di impegno femminile che riesce a coniugare anche il diritto naturale
alla maternità e alla famiglia, che invece è venuto meno in Occidente …
R.
– Ma certamente! Le donne africane hanno un grande esempio da dare a noi. Per loro,
infatti, il dono della maternità è il dono più grande che una donna possa vivere.
Per loro, è impossibile pensare il ruolo di una donna senza il ruolo della maternità:
loro coniugano molto bene, la famiglia con il dono della maternità, con il ruolo sociale,
con il ruolo nel villaggio, il ruolo nella scuola … Se il nostro mondo occidentale
può offrire loro un certo qual benessere, loro offrono a noi dei valori che noi abbiamo
perso ma che abbiamo bisogno di riacquistare: come donne che vivono nella famiglia,
nella società, nella politica, nella Chiesa. Perché davvero, solo la donna ha questa
capacità di vita e quando la dona, la dona pienamente.