2011-10-07 08:08:03

Dieci anni iniziava la guerra in Afghanistan: proteste a Kabul


Una grande manifestazione ha percorso ieri le vie principali di Kabul, per protestare contro le truppe straniere presenti nel Paese e per chiederne il ritiro. Ed oggi, venerdì di preghiera, si replicherà, in occasione anche del 10° anniversario dell’inizio della guerra. Era, infatti, il 7 ottobre 2001 quando l’allora presidente statunitense George W. Bush impartì l’ordine di attaccare l’Afghanistan, all’indomani delle stragi dell'11 settembre. Le finalità della Casa Bianca, in quel momento, erano quelle di eliminare Bin Laden, considerato la mente degli attentati sul suolo americano, far cadere il regime talebano e normalizzare il Paese. Oggi, a dieci anni di distanza, alcuni di quegli obiettivi sono stati raggiunti, ma l’Afghanistan resta ancora diviso da conflitti economici, culturali e religiosi, colpito da attentati e raid contro i civili. Decine di migliaia sono stati i morti in questo decennio. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica presso l’Università Cattolica di Milano: RealAudioMP3

R. – E’ stata – come dire – una lunga campagna che ha viso fasi diverse. Una prima fase, molto breve, di guerra contro i talebani, con una rapida loro sconfitta – apparente sconfitta, ahimé – e poi una lunga fase, diversi anni, di ricostruzione del Paese condotta malissimo. Ci siamo distratti troppo per altri eventi e abbiamo ripreso seriamente in mano la questione afghana solo a partire dal 2008-2009, quando probabilmente era già troppo tardi e c’erano già chiari segnali di un sostanziale fallimento della nostra missione.

D. – Lei diceva: siamo stati distratti da altri eventi. Probabilmente siamo stati distratti un po’ troppo dall’Iraq. Quanto ha influito questo sulla brutta condotta in Afghanistan?

R. – Troppo, perché l’Iraq non è stato soltanto “un’altra” guerra, è stata una guerra che ha assorbito – e enormemente – le forze statunitensi, ma è stata una guerra che ha rotto il fronte della comunità internazionale, ha diviso alleati che combattevano assieme in Afghanistan. In Afghanistan, per anni, troppo pochi uomini, troppo pochi mezzi, troppo pochi soldi, soprattutto una strategia confusa che non ha puntato soprattutto a dare sostegno e risposte agli afghani comuni e ha sostenuto troppo, invece, un’élite politica corrotta e inconcludente come quella attualmente al potere.

D. – Dobbiamo dire che, in tutto questo, il presidente Karzai appoggiato dagli Stati Uniti, in questi anni ha tentato un colloquio con i talebani, soprattutto nel momento in cui si è accorto che non erano usciti di scena del tutto. Invece, le ultime notizie parlano di una rottura completa dei contatti. A che punto siamo, oggi?

R. – Siamo ad un punto molto confuso. Karzai ha deluso enormemente le aspettative: non ha dato benessere, non ha contrastato la corruzione, con i talebani ha avuto un atteggiamento troppo duro all’inizio, probabilmente, e poi man mano che diventava chiaro il loro “ritorno”, ha cercato compromessi e trattative. Il fatto è che “taleban” è una parola che dice poco o nulla, ma sotto vi sono tantissimi gruppi diversi. Con alcuni ci si può trattare, perché vogliono soldi, poteri e prebende. Altri sono più fortemente ideologizzati. Ora, con il declino dell’interesse occidentale, la stanchezza dopo dieci anni di guerra, la mia percezione è che sempre più gruppi di insorti puntino alla vittoria totale, dopo che gli occidentali se ne saranno andati.

D. – In tutto questo, il Paese ancora oggi – a distanza di anni – è lontano dalla normalizzazione, ed è un Paese che svolge tutte le proprie attività amministrative con una base di corruzione altissima. Come riuscirà a risolvere i suoi problemi?

R. – L’Afghanistan è sempre stato un Paese fragile perché vi sono tantissime etnie in profonda rivalità, perché il centro non ha mai controllato le periferie … E devo dire che 30 anni e più di guerra civile dopo l’invasione sovietica del ’79, hanno distrutto le prospettive di futuro di questo Paese e hanno fatto emergere tutto il peggio. Questo non significa far perdere le speranze: io credo che si debba aiutare non per proporre modelli irrealistici, ma per cercare di far tornare le parti migliori delle popolazioni afghane, riducendo l’arbitrio, riducendo la corruzione, e dando soprattutto prospettive socio-economiche credibili alla popolazione normale. (gf)












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