Corno d'Africa: la carestia si espande. Oggi conferenza stampa di Cor Unum
Il nuovo appello del Papa, ieri all’udienza generale, per la soluzione dell’emergenza
umanitaria nella regione del Corno d’Africa colpita da siccità e carestia rappresenta
uno stimolo ulteriore per la comunità internazionale a moltiplicare gli impegni per
salvare tante vite umane. La macchina degli aiuti è già in moto da mesi, ma non è
sufficiente a frenare questa catastrofe che sta avvenendo quasi nel silenzio. E domani
mattina, presso la Sala Stampa della Santa Sede, sull’intervento umanitario nel Corno
d’Africa, si terrà una conferenza stampa promossa dal Pontificio Consiglio Cor Unum.
Interverranno, tra gli altri, il presidente del dicastero, cardinale Robert Sarah
e mons. Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Mogadiscio. Ma sentiamo la testimonianza
di Marco Rotelli, segretario generale dell’ong Intersos, appena rientrato da
Mogadiscio, intervistato da Giancarlo La Vella:
R. - Sostanzialmente,
si gira per una vastità di campi di sfollati: ci sono persone che sono arrivate soprattutto
dalle aree di maggior crisi e di maggior siccità. Sono oltre mezzo milione di persone
e sono lì in condizioni assolutamente precarie e soprattutto - come spesso è accaduto
nella storia del caos somalo - sono nella mani di persone con pochissimi scrupoli,
che sfruttano il loro stato di vulnerabilità e quindi soggetti a taglieggi in cambio
di protezione. E’ molto difficile operare e riuscire a garantire che chi ha più bisogno
riceva l’aiuto adeguato.
D. - Il Papa ha esortato la Comunità internazionale
a moltiplicare gli sforzi a favore di questa popolazione così duramente colpita: si
ha la sensazione che gli aiuti internazionali siano insufficienti o poco organizzati?
R.
- Oggi, in realtà, non è probabilmente la quantità di aiuto umanitario internazionale
che arriva in Somalia, ma è la modalità con cui si riesce ad operare. Teniamo presente
che nella zona controllata dalle milizie shabab l’accesso è difficilissimo: il personale
internazionale delle Ong e quello delle Nazioni Unite non riesce fisicamente ad entrare
nel Paese. Quello che noi esortiamo a fare da tempo, come Intersos, è di aprire un
dialogo a gruppi miliziani e anche a shabab per capire quali possano essere le modalità
per garantire questo accesso. Non facciamo l’errore che la Comunità internazionale
ha fatto nel 2007, di considerare le allora Corti Islamiche come il diavolo in terra
e con le quali non si poteva nemmeno dialogare: oggi quelle stesse Corti Islamiche
sono alla presidenza del Pese, quella presidenza che la Comunità internazionale supporta…
Dobbiamo iniziare a dialogare con tutte le parti in campo e soprattutto con chi detiene
l’80 per cento del controllo del Paese!
D. - Un problema ulteriore potrebbe
essere l’allargarsi di questa crisi umanitaria: la carestia sta valicando i confini
del Corno d’Africa…
R. - La carestia purtroppo si sta espandendo. Quello
che fa arrabbiare è che le Organizzazioni non governative suonano dalla fine dello
scorso anno campanelli di allarme sulla situazione. Oggi il problema è che, chiaramente,
dilagando le caratteristiche naturali di una carestia e di una siccità, coinvolgono
milioni di persone… Tra l’altro, questa è un’area del mondo dove le condizioni di
vita sono in generale difficili: c’è un caos geopolitico abbastanza diffuso e quindi
siccità e carestia non fanno altro che aggiungere disperazione a popolazioni che sono
da 20 anni in un’area di conflitto e di volatilità. Chi ha 20 anni oggi in Somalia,
non ha mai visto un governo centrale; non ha idea di cosa sia un controllo effettivo,
democratico, pacifico di un Paese; non riesce nemmeno a figurarsi come potrebbe essere
la strada della soluzione del conflitto. (mg)