NEPAD: Un Piano continentale di sviluppo sostenibile per l’Africa
In cinquanta anni d’indipendenza di molti Stati africani si è parlato di numerosi
piani di sviluppo per il continente, quasi sempre avviati solo da alcuni paesi e ispirati
a definizioni di politiche comuni esclusivamente economiche, senza quindi avere alla
base una preoccupazione sociale, culturale né, tantomeno, necessariamente continentale.
Basta ricordare i piani di Lomé (accordi CEE/ACP), di Abuja, le diverse organizzazioni
economiche comunitarie come la UDEAC, CEDEAO, CEMAC, CEA, per citarne alcuni. Dal
2001 si parla invece del Nuovo Partenariato per lo sviluppodell’Africa,
o NEPAD (New Partnership for African developpment), che nasce dalla
volontà della classe dirigente africana post indipendenza e post apartheid, desiderosa
di promuovere nel suo complesso un “rinascimento globale” e fare dell’Africa il continente
del secolo XXI, secondo quanto detto da Nelson Mandela. Ma che cos’è allora
questo NEPAD, spesso inteso erroneamente in maniera esclusiva, come un programma
di sviluppo economico per l’Africa? Come si è arrivati a quest’idea e perché? Quali
sono le grandi linee di sviluppo che compongono questo Piano di sviluppo per il rinascimento
continentale? Quali sono i suoi presupposti filosofici, politici, geopolitici e geostrategici?
Elaborato,
almeno nelle sue intenzioni, sulla stessa linea del programma di integrazione e sviluppo
sostenibile per il rinascimento continentale di Cheikh Anta Diop (descritto in
Fondéments culturels, techniques et industriels d’un futur Etat fédéral d’Afrique
noire, 1960) e ripreso più tardi da Edem Kodjo (in Et demain l’Afrique,
1985), il NEPAD è anzitutto frutto dell’esperienza africana maturata nel corso degli
ultimi quaranta anni. Negli anni sessanta l’interesse della classe dirigente africana
impegnata nella lotta per la conquista delle indipendenze dei paesi africani, era
concentrata sulla costruzione dell’unità continentale intorno alla comune battaglia
contro il colonialismo e contro l’apartheid. Il periodo post indipendenza - e soprattutto
subito dopo la fine dell’apartheid - fu caratterizzato dalla preoccupazione riguardo
ai problemi economici che affliggono il continente. Da questo punto di vista il meeting
dei Capi di Stato e di Governo organizzato a Lagos, in Nigeria, ebbe lo scopo di analizzare,
in maniera approfondita, i problemi che ostacolavano lo sviluppo economico, cercando
al contempo delle soluzioni. Così, l’inizio del terzo millennio è stato testimone
dell’avvio di diversi processi, finalizzati al rinnovamento non solo economico ma
anche sociale del continente africano. Il progetto NEPAD fu approvato nel corso
del 2001, a margine di due iniziative: il Piano Omega, lanciato dal Senegal, e il
Piano MAP (Millenium Partnership for African Ricovery Programme) avviato invece
dal Sudafrica, dalla Nigeria, dall’Algeria e, in un secondo momento, anche dall’Egitto.
Queste due iniziative furono discusse ed elaborate anche con altri Paesi africani
fino a quando, nel luglio del 2001 - alla conclusione del summit di Lusaka dell’ormai
defunta OUA - venne stilato il documento finale chiamato “Nuova Iniziativa Africana”.
In seguito, nell’ottobre del 2001 - durante la riunione di un comitato di attuazione
che si svolse ad Abuja - per decisione della classe dirigente africana questo testo
divenne il documento ufficiale del NEPAD. Come appare nel testo, suo preciso obbiettivo
è “eliminare la povertà” ed elaborare le linee guida di uno “sviluppo sostenibile”,
per rilanciare l’Africa come interlocutrice credibile nell’organigramma geopolitico
mondiale e internazionale, nell’ambito di questo “pianeta in fase di globalizzazione”.
Per la prima volta sono quindi gli stessi dirigenti africani che hanno voluto affrontare
insieme, in una prospettiva continentale, il problema dello sviluppo, mediante
una scelta politica ben precisa che va al di là del solo rinnovamento economico continentale:
“Questa Nuova Partnership per lo Sviluppo dell’Africa – è affermato nel testo
– è una promessa fatta dai governanti africani”.
In quanto programma
di azione, il NEPAD ha essenzialmente la caratteristica di essere “una visione
di lungo termine dello sviluppo dell’Africa ad opera degli stessi africani”. La
sua strategia, fondata su nove settori di interventi prioritari, individua alcune
attività considerate più urgenti, di breve termine. Alla finalità di lungo termine
si aggiungono dunque una serie di sub-obbiettivi con scadenze fisse. “Arrivare ad
una crescita media annua del PIL di oltre 7% e mantenerla nei prossimi anni; fare
in modo che il continente raggiunga gli obbiettivi convenuti in materia di sviluppo
internazionale, ovvero: dimezzare, fra il 1990 e il 2015, la percentuale di persone
che vivono in condizione di miseria estrema; garantire l’alfabetizzazione di tutti
i bambini in età da scuola elementare, entro il 2015; raggiungere progressivamente
la parità fra i sessi e favorire le donne abolendo le discriminazioni nelle iscrizioni
alle scuole elementari, entro il 2005; ridurre di due terzi la mortalità infantile
e post-infantile fra il 1990 e il 2015; ridurre di tre quarti la mortalità al parto,
fra il 1990 e il 2015; garantire a tutti coloro che ne hanno bisogno l’accesso ai
servizi sanitari genetici entro il 2015; infine attuare, a partire dal 2005, le strategie
regionali di sviluppo sostenibile, affinché la perdita di risorse naturali possa essere
compensata entro il 2015. Per giungere a tali risultati - tendenti alla “riduzione
della povertà e delle disuguaglianze” - e “per colmare il gap attuale” occorrono “investimenti
massici” (...) “Lanciamo dunque un appello ai nostri partner di sviluppo affinché
essi ci assistano nei nostri sforzi”, è dichiarato nel documento programmatico.
I Governi africani hanno quindi istituito un comitato di attuazione, composto da quindici
nazioni, allo scopo di elaborare un piano di azione per ogni settore prioritario,
e per ciascuna regione è stato posto un paese alla direzione dei lavori del comitato.
Il segretariato del comitato di attuazione del NEPAD, la cui sede è in Sudafrica,
si occupa del coordinamento dei lavori avviati nei diversi Stati.
Come presupposto
per la realizzazione effettiva ed efficace del NEPAD si sottolinea anzitutto la necessità
di far terminare i conflitti fratricidi, quale condizione imprescindibile per la democrazia
e lo sviluppo continentale: “L’esperienza – si legge nel testo – ha insegnato ai governanti
africani che la pace, la sicurezza, la democrazia, il buon governo, il rispetto
dei diritti dell’uomo e una corretta gestione dell’economia costituiscono i presupposti
necessari per lo sviluppo sostenibile”. Essi (ndr, “i firmatari”) si impegnano
a promuovere tali principi, singolarmente e collettivamente, nei loro rispettivi paesi,
regioni e in tutto il continente”.
Tali sfide si articolano in tre filoni:
il primo riguarda la pace e la sicurezza, il secondo, la democrazia e il buon governo,
il terzo la gestione economica e quella aziendale (si precisa inoltre che si tratta
di tre aspetti o modalità di un’unica realtà).
“L’obbiettivo dell’iniziativa
per la democrazia e il buon governo è contribuire a rafforzare il quadro politico
e amministrativo dei paesi partecipanti, conformemente ai principi di democrazia,
trasparenza, responsabilità, integrità, rispetto dei diritti dell’uomo e del primato
del diritto. Il NEPAD è ulteriormente rafforzato dall’Iniziativa per la gestione economica,
a cui dà il suo sostegno e con cui condivide alcune caratteristiche-chiave. Insieme,
le due Iniziative devono contribuire ad utilizzare le energie del continente per avanzare
sulla strada dello sviluppo e dell’eliminazione della povertà”. Per i governanti africani
le due Iniziative dovranno contribuire ad allineare tutti i paesi sugli stessi standard
internazionali in vigore, sia in campo politico che economico, emanati da Organizzazione
Mondiale del Commercio (OMC), Banca Mondiale (BM), Fondo Monetario Internazionale
(FMI) e dall’intero sistema delle Nazioni Unite. Un modo, questo, per rivalutare il
ruolo dello Stato in quanto unico interlocutore di queste agenzie internazionali.
Per i governanti africani, infatti, lo Stato “costituisce un elemento decisivo nella
creazione di un ambiente propizio allo sviluppo. Lo Stato ha un ruolo importante da
svolgere nella promozione della crescita e dello sviluppo sostenibile e nell’attuazione
dei programmi volti a ridurre la povertà”. Si richiede quindi il “potenziamento delle
sue capacità” ma si riconosce anche il limite degli Stati africani in quanto entità
singoli e si riafferma quindi l’importanza e la necessità di rafforzare l’efficacia
delle strutture e delle organizzazioni regionali esistenti nel continente, se
si vuole promuovere uno sviluppo fondato essenzialmente sulla capacità competitiva
e sull’influenza esercitata dagli investimenti redditizi del settore privato. “La
maggioranza dei paesi africani – si fa notare – sono piccoli, sia in termini di popolazioni
che di reddito pro capite. Le ridotte dimensioni dei mercati fanno sì che essi non
offrano ai potenziali investitori prospettive di guadagno interessanti. Le opportunità
di investimento in infrastrutture essenziali - dalle quali dipende l’efficienza delle
economie di scala - sono quindi limitate”. Tuttavia, di fatto si cerca di correre
ai ripari, onde evitare il rischio di una possibile invasione economica straniera,
ma soprattutto per evitare di alimentare maggiormente ciò che Samir Amin e Paulin
Hountondji chiamano “economie d’extraversion”, che da secoli soffoca il continente.
Si sottolinea quindi l’urgenza di creare, dal punto economico e finanziario, un ambiente
che possa favorire, anzitutto, lo sviluppo del settore privato africano come priorità.
I
settori prioritari individuati sono i seguenti: Infrastrutture; Risorse umane (inclusi
l’educazione e l’istruzione, lo sviluppo delle competenze professionali e l’inversione
di tendenza della fuga dei cervelli); Sanità; Tecnologie della comunicazione e dell’informazione;
Agricoltura; Energia; infine, Accesso delle esportazioni africane ai mercati dei paesi
cosiddetti “sviluppati”. Nella trattazione di ognuno di questi settori si segue,
in linea di massima, lo stesso schema: si sottolinea il ruolo e l’importanza di un’economia
sostenibile - partendo da una realtà africana considerata sfavorevole e che bisogna
trasformare, con l’obbiettivo dichiarato di voler raggiungere gli stessi livelli di
prestazione dei paesi considerati sviluppati - si indicano gli interventi da compiere
e, infine, si individuano le risorse finanziarie necessarie, soprattutto del settore
privato.
Quindi si passa al nocciolo di tutta la questione NEPAD: il problema
della mobilitazione delle risorse. Come attrarre e conservare un flusso di capitali,
soprattutto privati, dai paesi cosiddetti sviluppati, da investire sul continente
per rilanciare il suo rinascimento? A quali condizioni i suoi prodotti possono aver
accesso ai mercati redditizi dei paesi “ricchi”, grazie alla concorrenza generalizzata? Come
risposta, il NEPAD raccomanda la creazione per ciascun settore coinvolto di quelle
condizioni, generali e specifiche, necessarie ad affrontare le sfide proposte, tenendo
ben presente il principio fondamentale in materia di gestione di capitali privati,
ovvero che “l’aumento di tali flussi non può essere separato dal miglioramento in
ambito amministrativo. Ecco perché la partecipazione alle iniziative in materia di
gestione economica e politica è una condizione preliminare indispensabile per il coinvolgimento
nell’iniziativa relativa ai flussi di capitali”. Cosi, pur non trascurando le fonti
interne, si considera tuttavia che “la maggior parte delle risorse dovrà arrivare
dall’estero”. Ma come? Attraverso politiche di breve e medio termine che tendano
innanzitutto a ridurre il debito, a rivedere e correggere l’Aiuto Pubblico allo sviluppo.
E a lungo termine, puntare sulle politiche volte all’apporto di capitali privati. Per
quanto riguarda l’accesso ai mercati, si sottolinea l’importanza di puntare su: un’agricoltura
diversificata e controllata in termini di produzione e produttività, trasformazione
e qualità, conformemente alle regole di uno scambio competitivo e delle esportazioni;
industrie estrattive affidabili, più efficienti e desiderose di aumentare il valore
aggiunto, in modo da contribuire così allo sviluppo complessivo del continente; la
creazione di nuovi poli produttivi che godano di vantaggi competitivi, allineati su
norme internazionali alla cui elaborazione dovranno partecipare questi stessi soggetti;
il turismo, la promozione del settore privato, le esportazioni e l’eliminazione delle
barriere non tariffarie.
Ora, al fine di contenere i pericoli di dipendenza
- assai ovvi per l’attuazione di questo piano globale - si richiede, sul piano etico,una Nuova Partnership. Per quanto riguarda il settore della cooperazione allo
sviluppo si evidenzia la volontà di abbandonare la politica degli aiuti, puntando
ad essere riconosciuti in quanto partner economici credibili. In altre parole, si
rivendica il diritto a cessare di essere oggetti del dibattito sulla cooperazione
allo sviluppo, per divenire soggetti e quindi passare all’era della partnership,
quale unico paradigma di cooperazione che consente all’Africa di dialogare in parità
con gli altri attori del pianeta Terra, di “partecipare attivamente all’economia e
alla vita politica mondiale”. Si evidenzia che qualunque sia stato il passato,
con le sue ingiustizie e i suoi torti spesso condivisi, l’Africa e i suoi partners
sono oggi responsabili del miglioramento della qualità della vita dei popoli africani.
Per dirla con Cheikh Hamidou Kane, si tratta di capire che riguardo ai rapporti politici
tra l’Africa e l’Europa, l’era dei destini singoli è compiuta. Non abbiamo avuto
lo stesso passato, ma d’ora in poi avremo rigorosamente lo stesso avvenire.Per cuiil crollo del continente africano sarebbe un danno ed una perdita
grave per l’intera umanità. Il suo sviluppo invece lo trasformerebbe in un grande
mercato; la sua democratizzazione in un polo di stabilità e di arricchimento umano
con la sua bio-diversità e le sue numerose culture. Le sue immense risorse minerali,
indispensabili per l’economia mondiale, continuerebbero così ad essere dei fattori
essenziali nei processi di produzione dei paesi cosiddetti sviluppati e nel quadro
della globalizzazione.
L’Africa quindi offre prospettive affascinanti di partnership
creative in tutti i campi. Stabilire nuovi rapporti con i paesi industrializzati e
le organizzazioni multilaterali significa pertanto “negoziare nuovi rapporti con i
suoi partner per lo sviluppo (…) Le partnership in questione sono, nel dettaglio:
la Nuova Agenda delle Nazioni Unite per lo sviluppo dell’Africa negli anni ’90, il
Piano d’azione Unione Europea-Africa del Cairo (Egitto), la Partnership strategica
della BM per l’Africa, il Documento sulla strategia per la riduzione della povertà
del FMI, il Piano d’Azione di Tokyo sull’iniziativa del Giappone, la legge americana
sulla crescita e il commercio in Africa e il recente Nuovo contratto mondiale della
commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa (CEA). L’obbiettivo sarà una
razionalizzazione che garantirà che ogni partnership produca effetti vantaggiosi (...)
Varie istituzioni internazionali di partnership hanno già avviato interventi su tutti
questi programmi”. Tuttavia “bisogna consolidarne la leadership dell’Africa per garantirne
una migliore realizzazione” e soprattutto per accelerare “la rigenerazione del continente”.
Infine
i governanti concludono il Piano NEPAD con le seguenti parole: “realizzando le
promesse in esso contenute il presente programma dovrà consentire ai bambini africani
denutriti di sperare che il XXI secolo sia davvero il secolo del rinascimento africano”.
(A cura di Filomeno Lopes, del programma portoghese per
l’Africa).