2011-09-27 09:06:31

NEPAD: Un Piano continentale di sviluppo sostenibile per l’Africa


In cinquanta anni d’indipendenza di molti Stati africani si è parlato di numerosi piani di sviluppo per il continente, quasi sempre avviati solo da alcuni paesi e ispirati a definizioni di politiche comuni esclusivamente economiche, senza quindi avere alla base una preoccupazione sociale, culturale né, tantomeno, necessariamente continentale. Basta ricordare i piani di Lomé (accordi CEE/ACP), di Abuja, le diverse organizzazioni economiche comunitarie come la UDEAC, CEDEAO, CEMAC, CEA, per citarne alcuni.
Dal 2001 si parla invece del Nuovo Partenariato per lo sviluppo dell’Africa, o NEPAD (New Partnership for African developpment), che nasce dalla volontà della classe dirigente africana post indipendenza e post apartheid, desiderosa di promuovere nel suo complesso un “rinascimento globale” e fare dell’Africa il continente del secolo XXI, secondo quanto detto da Nelson Mandela.
Ma che cos’è allora questo NEPAD, spesso inteso erroneamente in maniera esclusiva, come un programma di sviluppo economico per l’Africa? Come si è arrivati a quest’idea e perché? Quali sono le grandi linee di sviluppo che compongono questo Piano di sviluppo per il rinascimento continentale? Quali sono i suoi presupposti filosofici, politici, geopolitici e geostrategici?

Elaborato, almeno nelle sue intenzioni, sulla stessa linea del programma di integrazione e sviluppo sostenibile per il rinascimento continentale di Cheikh Anta Diop (descritto in Fondéments culturels, techniques et industriels d’un futur Etat fédéral d’Afrique noire, 1960) e ripreso più tardi da Edem Kodjo (in Et demain l’Afrique, 1985), il NEPAD è anzitutto frutto dell’esperienza africana maturata nel corso degli ultimi quaranta anni. Negli anni sessanta l’interesse della classe dirigente africana impegnata nella lotta per la conquista delle indipendenze dei paesi africani, era concentrata sulla costruzione dell’unità continentale intorno alla comune battaglia contro il colonialismo e contro l’apartheid. Il periodo post indipendenza - e soprattutto subito dopo la fine dell’apartheid - fu caratterizzato dalla preoccupazione riguardo ai problemi economici che affliggono il continente. Da questo punto di vista il meeting dei Capi di Stato e di Governo organizzato a Lagos, in Nigeria, ebbe lo scopo di analizzare, in maniera approfondita, i problemi che ostacolavano lo sviluppo economico, cercando al contempo delle soluzioni. Così, l’inizio del terzo millennio è stato testimone dell’avvio di diversi processi, finalizzati al rinnovamento non solo economico ma anche sociale del continente africano.
Il progetto NEPAD fu approvato nel corso del 2001, a margine di due iniziative: il Piano Omega, lanciato dal Senegal, e il Piano MAP (Millenium Partnership for African Ricovery Programme) avviato invece dal Sudafrica, dalla Nigeria, dall’Algeria e, in un secondo momento, anche dall’Egitto. Queste due iniziative furono discusse ed elaborate anche con altri Paesi africani fino a quando, nel luglio del 2001 - alla conclusione del summit di Lusaka dell’ormai defunta OUA - venne stilato il documento finale chiamato “Nuova Iniziativa Africana”. In seguito, nell’ottobre del 2001 - durante la riunione di un comitato di attuazione che si svolse ad Abuja - per decisione della classe dirigente africana questo testo divenne il documento ufficiale del NEPAD. Come appare nel testo, suo preciso obbiettivo è “eliminare la povertà” ed elaborare le linee guida di uno “sviluppo sostenibile”, per rilanciare l’Africa come interlocutrice credibile nell’organigramma geopolitico mondiale e internazionale, nell’ambito di questo “pianeta in fase di globalizzazione”. Per la prima volta sono quindi gli stessi dirigenti africani che hanno voluto affrontare insieme, in una prospettiva continentale, il problema dello sviluppo, mediante una scelta politica ben precisa che va al di là del solo rinnovamento economico continentale: “Questa Nuova Partnership per lo Sviluppo dell’Africa – è affermato nel testo – è una promessa fatta dai governanti africani”.

In quanto programma di azione, il NEPAD ha essenzialmente la caratteristica di essere “una visione di lungo termine dello sviluppo dell’Africa ad opera degli stessi africani”. La sua strategia, fondata su nove settori di interventi prioritari, individua alcune attività considerate più urgenti, di breve termine. Alla finalità di lungo termine si aggiungono dunque una serie di sub-obbiettivi con scadenze fisse. “Arrivare ad una crescita media annua del PIL di oltre 7% e mantenerla nei prossimi anni; fare in modo che il continente raggiunga gli obbiettivi convenuti in materia di sviluppo internazionale, ovvero: dimezzare, fra il 1990 e il 2015, la percentuale di persone che vivono in condizione di miseria estrema; garantire l’alfabetizzazione di tutti i bambini in età da scuola elementare, entro il 2015; raggiungere progressivamente la parità fra i sessi e favorire le donne abolendo le discriminazioni nelle iscrizioni alle scuole elementari, entro il 2005; ridurre di due terzi la mortalità infantile e post-infantile fra il 1990 e il 2015; ridurre di tre quarti la mortalità al parto, fra il 1990 e il 2015; garantire a tutti coloro che ne hanno bisogno l’accesso ai servizi sanitari genetici entro il 2015; infine attuare, a partire dal 2005, le strategie regionali di sviluppo sostenibile, affinché la perdita di risorse naturali possa essere compensata entro il 2015.
Per giungere a tali risultati - tendenti alla “riduzione della povertà e delle disuguaglianze” - e “per colmare il gap attuale” occorrono “investimenti massici” (...) “Lanciamo dunque un appello ai nostri partner di sviluppo affinché essi ci assistano nei nostri sforzi”, è dichiarato nel documento programmatico. I Governi africani hanno quindi istituito un comitato di attuazione, composto da quindici nazioni, allo scopo di elaborare un piano di azione per ogni settore prioritario, e per ciascuna regione è stato posto un paese alla direzione dei lavori del comitato. Il segretariato del comitato di attuazione del NEPAD, la cui sede è in Sudafrica, si occupa del coordinamento dei lavori avviati nei diversi Stati.

Come presupposto per la realizzazione effettiva ed efficace del NEPAD si sottolinea anzitutto la necessità di far terminare i conflitti fratricidi, quale condizione imprescindibile per la democrazia e lo sviluppo continentale: “L’esperienza – si legge nel testo – ha insegnato ai governanti africani che la pace, la sicurezza, la democrazia, il buon governo, il rispetto dei diritti dell’uomo e una corretta gestione dell’economia costituiscono i presupposti necessari per lo sviluppo sostenibile”. Essi (ndr, “i firmatari”) si impegnano a promuovere tali principi, singolarmente e collettivamente, nei loro rispettivi paesi, regioni e in tutto il continente”.

Tali sfide si articolano in tre filoni: il primo riguarda la pace e la sicurezza, il secondo, la democrazia e il buon governo, il terzo la gestione economica e quella aziendale (si precisa inoltre che si tratta di tre aspetti o modalità di un’unica realtà).

“L’obbiettivo dell’iniziativa per la democrazia e il buon governo è contribuire a rafforzare il quadro politico e amministrativo dei paesi partecipanti, conformemente ai principi di democrazia, trasparenza, responsabilità, integrità, rispetto dei diritti dell’uomo e del primato del diritto. Il NEPAD è ulteriormente rafforzato dall’Iniziativa per la gestione economica, a cui dà il suo sostegno e con cui condivide alcune caratteristiche-chiave. Insieme, le due Iniziative devono contribuire ad utilizzare le energie del continente per avanzare sulla strada dello sviluppo e dell’eliminazione della povertà”. Per i governanti africani le due Iniziative dovranno contribuire ad allineare tutti i paesi sugli stessi standard internazionali in vigore, sia in campo politico che economico, emanati da Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), Banca Mondiale (BM), Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dall’intero sistema delle Nazioni Unite. Un modo, questo, per rivalutare il ruolo dello Stato in quanto unico interlocutore di queste agenzie internazionali. Per i governanti africani, infatti, lo Stato “costituisce un elemento decisivo nella creazione di un ambiente propizio allo sviluppo. Lo Stato ha un ruolo importante da svolgere nella promozione della crescita e dello sviluppo sostenibile e nell’attuazione dei programmi volti a ridurre la povertà”. Si richiede quindi il “potenziamento delle sue capacità” ma si riconosce anche il limite degli Stati africani in quanto entità singoli e si riafferma quindi l’importanza e la necessità di rafforzare l’efficacia delle strutture e delle organizzazioni regionali esistenti nel continente, se si vuole promuovere uno sviluppo fondato essenzialmente sulla capacità competitiva e sull’influenza esercitata dagli investimenti redditizi del settore privato. “La maggioranza dei paesi africani – si fa notare – sono piccoli, sia in termini di popolazioni che di reddito pro capite. Le ridotte dimensioni dei mercati fanno sì che essi non offrano ai potenziali investitori prospettive di guadagno interessanti. Le opportunità di investimento in infrastrutture essenziali - dalle quali dipende l’efficienza delle economie di scala - sono quindi limitate”. Tuttavia, di fatto si cerca di correre ai ripari, onde evitare il rischio di una possibile invasione economica straniera, ma soprattutto per evitare di alimentare maggiormente ciò che Samir Amin e Paulin Hountondji chiamano “economie d’extraversion”, che da secoli soffoca il continente. Si sottolinea quindi l’urgenza di creare, dal punto economico e finanziario, un ambiente che possa favorire, anzitutto, lo sviluppo del settore privato africano come priorità.

I settori prioritari individuati sono i seguenti: Infrastrutture; Risorse umane (inclusi l’educazione e l’istruzione, lo sviluppo delle competenze professionali e l’inversione di tendenza della fuga dei cervelli); Sanità; Tecnologie della comunicazione e dell’informazione; Agricoltura; Energia; infine, Accesso delle esportazioni africane ai mercati dei paesi cosiddetti “sviluppati”.
Nella trattazione di ognuno di questi settori si segue, in linea di massima, lo stesso schema: si sottolinea il ruolo e l’importanza di un’economia sostenibile - partendo da una realtà africana considerata sfavorevole e che bisogna trasformare, con l’obbiettivo dichiarato di voler raggiungere gli stessi livelli di prestazione dei paesi considerati sviluppati - si indicano gli interventi da compiere e, infine, si individuano le risorse finanziarie necessarie, soprattutto del settore privato.

Quindi si passa al nocciolo di tutta la questione NEPAD: il problema della mobilitazione delle risorse. Come attrarre e conservare un flusso di capitali, soprattutto privati, dai paesi cosiddetti sviluppati, da investire sul continente per rilanciare il suo rinascimento? A quali condizioni i suoi prodotti possono aver accesso ai mercati redditizi dei paesi “ricchi”, grazie alla concorrenza generalizzata?
Come risposta, il NEPAD raccomanda la creazione per ciascun settore coinvolto di quelle condizioni, generali e specifiche, necessarie ad affrontare le sfide proposte, tenendo ben presente il principio fondamentale in materia di gestione di capitali privati, ovvero che “l’aumento di tali flussi non può essere separato dal miglioramento in ambito amministrativo. Ecco perché la partecipazione alle iniziative in materia di gestione economica e politica è una condizione preliminare indispensabile per il coinvolgimento nell’iniziativa relativa ai flussi di capitali”. Cosi, pur non trascurando le fonti interne, si considera tuttavia che “la maggior parte delle risorse dovrà arrivare dall’estero”.
Ma come? Attraverso politiche di breve e medio termine che tendano innanzitutto a ridurre il debito, a rivedere e correggere l’Aiuto Pubblico allo sviluppo. E a lungo termine, puntare sulle politiche volte all’apporto di capitali privati.
Per quanto riguarda l’accesso ai mercati, si sottolinea l’importanza di puntare su: un’agricoltura diversificata e controllata in termini di produzione e produttività, trasformazione e qualità, conformemente alle regole di uno scambio competitivo e delle esportazioni; industrie estrattive affidabili, più efficienti e desiderose di aumentare il valore aggiunto, in modo da contribuire così allo sviluppo complessivo del continente; la creazione di nuovi poli produttivi che godano di vantaggi competitivi, allineati su norme internazionali alla cui elaborazione dovranno partecipare questi stessi soggetti; il turismo, la promozione del settore privato, le esportazioni e l’eliminazione delle barriere non tariffarie.

Ora, al fine di contenere i pericoli di dipendenza - assai ovvi per l’attuazione di questo piano globale - si richiede, sul piano etico, una Nuova Partnership. Per quanto riguarda il settore della cooperazione allo sviluppo si evidenzia la volontà di abbandonare la politica degli aiuti, puntando ad essere riconosciuti in quanto partner economici credibili. In altre parole, si rivendica il diritto a cessare di essere oggetti del dibattito sulla cooperazione allo sviluppo, per divenire soggetti e quindi passare all’era della partnership, quale unico paradigma di cooperazione che consente all’Africa di dialogare in parità con gli altri attori del pianeta Terra, di “partecipare attivamente all’economia e alla vita politica mondiale”.
Si evidenzia che qualunque sia stato il passato, con le sue ingiustizie e i suoi torti spesso condivisi, l’Africa e i suoi partners sono oggi responsabili del miglioramento della qualità della vita dei popoli africani. Per dirla con Cheikh Hamidou Kane, si tratta di capire che riguardo ai rapporti politici tra l’Africa e l’Europa, l’era dei destini singoli è compiuta. Non abbiamo avuto lo stesso passato, ma d’ora in poi avremo rigorosamente lo stesso avvenire. Per cui il crollo del continente africano sarebbe un danno ed una perdita grave per l’intera umanità. Il suo sviluppo invece lo trasformerebbe in un grande mercato; la sua democratizzazione in un polo di stabilità e di arricchimento umano con la sua bio-diversità e le sue numerose culture. Le sue immense risorse minerali, indispensabili per l’economia mondiale, continuerebbero così ad essere dei fattori essenziali nei processi di produzione dei paesi cosiddetti sviluppati e nel quadro della globalizzazione.

L’Africa quindi offre prospettive affascinanti di partnership creative in tutti i campi. Stabilire nuovi rapporti con i paesi industrializzati e le organizzazioni multilaterali significa pertanto “negoziare nuovi rapporti con i suoi partner per lo sviluppo (…)
Le partnership in questione sono, nel dettaglio: la Nuova Agenda delle Nazioni Unite per lo sviluppo dell’Africa negli anni ’90, il Piano d’azione Unione Europea-Africa del Cairo (Egitto), la Partnership strategica della BM per l’Africa, il Documento sulla strategia per la riduzione della povertà del FMI, il Piano d’Azione di Tokyo sull’iniziativa del Giappone, la legge americana sulla crescita e il commercio in Africa e il recente Nuovo contratto mondiale della commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa (CEA). L’obbiettivo sarà una razionalizzazione che garantirà che ogni partnership produca effetti vantaggiosi (...) Varie istituzioni internazionali di partnership hanno già avviato interventi su tutti questi programmi”. Tuttavia “bisogna consolidarne la leadership dell’Africa per garantirne una migliore realizzazione” e soprattutto per accelerare “la rigenerazione del continente”.

Infine i governanti concludono il Piano NEPAD con le seguenti parole: “realizzando le promesse in esso contenute il presente programma dovrà consentire ai bambini africani denutriti di sperare che il XXI secolo sia davvero il secolo del rinascimento africano”.
(A cura di Filomeno Lopes, del programma portoghese per l’Africa).








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