Mons. Bruno Forte: Benedetto XVI in Germania, grande e paziente riformatore
Hanno avuto vasta eco mediatica in Germania e non solo le parole con le quali Benedetto
XVI, rivolgendosi ai cattolici impegnati nell’intervento al Konzerthause di
Friburgo, ha richiamato la Chiesa alla riscoperta della sua identità più autentica,
spogliata dalla tentazione del potere e dal rischio della burocratizzazione. Fabio
Colagrande ha chiesto in proposito un commento all’arcivescovo di Chiesti-Vasto,
Bruno Forte:
R. – Nel
discorso al “Konzerthaus” di Freiburg, che è stato un discorso come sempre di una
grande profondità e anche finezza teologica, il Papa mette in guardia da questa forma
di legame con il mondo che è quella che noi comunemente, appunto, la “mondanità” e
invita la Chiesa – e gli uomini di Chiesa – a spogliarsi da ogni logica mondana per
essere, invece, nello spirito del Vangelo, una Chiesa ricca solo di Dio. Direi: povera
della ricchezza del mondo per essere ricca della povertà di Dio che è il suo amore.
D. – A questo proposito, il Papa ha detto: “Liberata dai suoi fardelli
materiali e politici e dai privilegi, la Chiesa può dedicarsi meglio al mondo intero”.
Come interpretare, secondo lei, questa riflessione del Papa che sembra quasi un auspicio,
sembra essere una riflessione che porta conseguenze molto concrete…
R.
– Nella luce di quella che per me è la chiave interpretativa profonda di questo pontificato.
Questo pontificato è quello di un Papa riformatore: non siamo di fronte ad un Papa
– come qualcuno vorrebbe – conservatore, cioè prigioniero del passato. Noi siamo di
fronte ad un Papa che lavora seriamente, senza apparenze, senza chiasso, alla riforma
della Chiesa. E per riforma questo Papa – e ce lo spiegava già nel suo libro “Il nuovo
popolo di Dio”, agli inizi degli anni Settanta dello scorso secolo – questo Papa intende
il rinnovamento che ci porta a rimettere al centro Cristo, il suo Vangelo. E’ questo
che questo Papa insistentemente sta chiedendo alla Chiesa.
D. – Il Papa
ha detto anche: "Non si tratta di trovare nuove tattiche per rilanciare la Chiesa,
ma di riportarla alla sua piena identità, togliendo ciò che solo apparentemente è
fede ma in realtà sono convenzioni e abitudini". E ancora, la condanna all’eccessiva
importanza che nella Chiesa si da all’organizzazione e all’istituzionalizzazione.
Come vescovo, come legge queste parole del Santo Padre?
R. – Io conosco
abbastanza la Chiesa tedesca – sono stato a lungo in Germania da giovane sacerdote,
da professore e ricercatore… Ora, la Chiesa tedesca ha aspetti meravigliosi, ma certamente
ha un aspetto che il Papa ben conosce, ed è una grossa “Verbürokratisierung”, cioè
una grossa burocratizzazione dovuta al fatto che essa ha una struttura non indifferente
da gestire. Ora, questo porta con sé la tentazione di concepire la Chiesa come un
apparato. Dunque, le parole del Santo Padre vanno anche molto contestualizzate nel
rapporto con il mondo tedesco, con la Germania, anche se hanno, naturalmente, un valore
per la Chiesa in tutto il mondo. Il Papa invita a semplificare, a ri-centrare il tutto
sulla finalità evangelica che è quella di annunciare Gesù Cristo con la Parola di
vita nella carità. Sono parole forti, parole coraggiose, ma si muovono esattamente
nella linea della verità anche quando la verità può farci soffrire, e questo Papa
lo ha dimostrato – ad esempio – nel caso della pedofilia di alcuni ecclesiastici,
da lui così fermamente e chiaramente condannata, e nelle sofferenze che egli sente
condividendo in qualche modo il dolore, specialmente delle vittime degli abusi.
D.
– Sempre a questo proposito, ha colpito molto – tra le parole pronunciate da Benedetto
XVI nell’ultima giornata del suo viaggio in Germania – quello che ha detto durante
l’omelia a Friburgo con il confronto fra gli agnostici che a motivo della questione
Dio non trovano pace, e i fedeli di routine che nella Chiesa vedono solo l’apparato.
I primi, ha detto il Papa, sono più vicini al Regno di Dio…
R. – Il
Papa ha fatto eco alle parole del Vangelo, dove Gesù dice che i pubblicani e le prostitute
li precederanno nel Regno dei Cieli. Il Papa ne ha dato un’esegesi precisa: nella
logica di Dio, non c’è nessuna ereditarietà naturale della grazia, cioè nessuno può
pretendere di essere in grazia per il semplice fatto, per esempio, di appartenere
alla Chiesa. Ciò che occorre è che ognuno si metta in gioco nel suo cammino di santità
e di continua conversione, per potere piacere a Dio, a partire dai doni che Dio ci
ha fatto. La grazia non è mai un privilegio: è un compito. Le due cose vanno sempre
tenute insieme. (gf)