Yemen: nuovi scontri a Sanaa, il presidente Saleh rientrato nel Paese
Nello Yemen situazione di alta tensione. Infuriano i combattimenti tra oppositori
e truppe lealiste, soprattutto nella capitale Sanaa. Quasi una decina le vittime registrate
nelle ultime ore di scontri armati. Intanto fa notizia il rientro nel Paese arabo
del presidente Alì Abdullah Saleh, dopo un lungo periodo di convalescenza in Arabia
Saudita. C’è attesa per quanto il contestato capo dello Stato dirà in un annunciato
discorso alla Nazione. Smentita dal suo entourage la possibilità che si dimetta. Ma
quali sono i connotati della crisi yemenita rispetto alle altre crisi arabe? Giancarlo
La Vella lo ha chiesto a Farian Sabahi, giornalista e docente universitaria,
esperta di Medio Oriente:
R. - Se facciamo
un confronto con gli altri Paesi arabi, lo Yemen è indubbiamente il Paese più povero:
il reddito medio procapite annuo è di circa 1000 dollari. Il vero confronto va fatto
tra lo Yemen ed i Paesi della penisola araba: con i suoi 24 milioni di abitanti lo
Yemen è certamente il Paese più popoloso, ma è anche quello più povero, soprattutto
per quanto riguarda il petrolio. Un terzo della popolazione yemenita soffre la fame
cronica ed il 42 per cento vive invece sotto la soglia di povertà, quindi con meno
di due dollari al giorno.
D. - In questo momento chi è che contesta
Saleh?
R. - Sicuramente il partito islamico che una volta era alleato
con il presidente. Ci sono anche dei generali che hanno disertato nel momento in cui
il presidente Saleh ha ordinato ai cecchini di sparare sulla folla. L’opposizione
è sicuramente eterogenea, e fra le sue file conta anche diverse donne attiviste. Queste
rivolte hanno portato ad una maggior consapevolezza da parte delle donne, che sono
più coinvolte di quanto non lo fossero prima, in un Paese in cui tra l’altro la segregazione
femminile era la regola. Queste donne hanno fatto di necessità virtù: nel momento
in cui padri, mariti e fratelli sono stati arrestati e si sono trovate da sole, sono
dovute scendere in piazza. Le rivendicazioni che fanno queste donne riguardano il
fatto di non fare affidamento sul livello numerico delle manifestazioni di piazza
ma di contare, soprattutto, sulla possibilità di riscrivere la Costituzione dello
Yemen.
D. - Che cosa potrebbe significare, per il Paese, l’uscita di
scena di Saleh?
R. - L’uscita di scena di Saleh non è una cosa certa.
Resta da vedere che cosa dirà il presidente nel discorso alla nazione, previsto per
oggi. Il problema non è soltanto lui. Il problema è il suo clan, i suoi figli e nipoti,
che sono a capo dei servizi segreti e dei servizi di sicurezza. Il clan ha soprattutto
dei legami con gli Stati Uniti, perché in questi 10 anni, dall’11 settembre, hanno
portato avanti la lotta al terrorismo. Temo, quindi, che non ci sia la volontà di
una certa diplomazia internazionale a sbarazzarsi di tutto il clan di Saleh e questo
non potrà che causare un’ulteriore violenza, perché difficilmente l’opposizione permetterà
al clan di Saleh di rimanere in sella. (vv)