Tensioni a Lampedusa. Mons. Perego: gli isolani modello di ospitalità, vanno sostenuti
dal governo e dall'Europa
Immigrazione. E’ ancora il caos nel Centro di accoglienza di Lampedusa dato alle fiamme
ieri sera, durante una rivolta di tunisini, dopo l’annuncio di prossimi rimpatri.
La Procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta, ma sull’isola in queste ore è vera
e propria rivolta urbana a colpi di pietre tra isolani e maghrebini e cariche della
polizia: decine i feriti, mentre gli insegnanti si sarebbero barricati nelle scuole
per paura. Sindacati e opposizione denunciano la totale assenza del governo, dal canto
suo il sindaco De Rubeis ha promesso il pugno duro contro ogni forma di violenza.
Cecilia Seppia ha sentito mons. Giancarlo Perego, direttore generale
della Fondazione Migrantes della Cei:
R. – I vescovi
della Cei ieri hanno preso in esame – tra i punti più importanti del loro ordine del
giorno – proprio la situazione dei 60 mila immigrati, che in questi mesi si sono imbarcati
a Lampedusa, ponendo l’attenzione, da una parte alla distinzione fra gli immigrati
e i richiedenti asilo e, dall’altra, al rispetto e alla cura di ogni persona. Credo
occorra andare in una duplice direzione: la prima è quella di rafforzare ogni forma
di tutela, evitando condizioni di vita nei centri che possano generare esasperazioni,
che credo sia uno dei motivi anche che hanno portato a questa situazione drammatica;
la seconda, evitare anche violenze e conflittualità, che portano all’indebolimento
di una tutela dei diritti, a nuove paure, a nuove distanze.
D. – Tante
le questioni in gioco: la sicurezza, l’accoglienza, la convivenza. Ma all’origine
delle tensioni, come diceva lei, da un lato c’è la condizione drammatica in cui queste
persone si trovano a vivere e, dall’altra, appunto, la paura, l’annuncio di rimpatri
imminenti, come in questo caso. Si risolvono così le cose?
R. – Io credo
che il tema dei rimpatri sia un tema molto importante, è, però, un tema a cui si arriva
solo dopo un’analisi non approssimativa delle situazioni, dopo un’attenzione particolare
ai minori – non dimentichiamo che sono arrivati tremila minori in questi mesi a Lampedusa
– e dopo un’attenzione posta alla creazione di condizioni di cooperazione internazionale
nei Paesi, e nello specifico in Tunisia, che oggi mancano completamente.
D.
– Va rafforzata la rete umanitaria, lei l’ha detto spesso, troppo debole, troppo legata
all’occasione, al momento, all’emergenza...
R. – Certamente, la rete
umanitaria e questi canali umanitari di rimpatrio devono essere rafforzati per evitare
che ogni esperienza, anche drammatica, venga lasciata all’improvvisazione e generi
ulteriormente conflittualità.
D. – Oggi, centinaia di tunisini stanno
manifestando per le strade di Lampedusa al grido di “libertà”. Anche la gente dell’isola,
però, è esasperata e continua a denunciare l’abbandono...
R. – La gente
di Lampedusa ha dimostrato grande attenzione, grande solidarietà in senso complessivo
in questi mesi, bisogna dare atto. Molti hanno anche segnalato questo impegno molto
forte da parte di tutte le realtà istituzionali dell'isola. Io credo che non debba
essere lasciata sola e quella rete di accoglienza di questi 60 mila, che è nata, debba
essere rafforzata sul territorio italiano, perché un’isola non sia lasciata sola a
vivere ed affrontare una situazione che, invece, deve interessare – come abbiamo detto
– tutto il nostro Paese ed anche il contesto europeo.
D. – Entriamo
nel concreto: lei dice che bisogna interpellare anche l’Europa, ma come? Cosa bisogna
fare?
R. – Rafforzare la rete che è nata sul territorio italiano – prima
ancora con l’Anci – che riguarda i rifugiati, rafforzare le realtà di accoglienza
anche nelle nostre comunità, come la stessa Caritas, la stessa Migrantes hanno creato
con una rete forte. Queste sono le prime condizioni importanti sul territorio. Non
dimentichiamo che nel contesto europeo l’Italia, per quanto riguarda soprattutto i
rifugiati, ha ancora un’attenzione troppo debole: cinque volte meno della Francia
e sette volte meno della Germania. Quindi, credo che un primo aspetto sia quello di
rafforzare questa rete. Un secondo aspetto importante è che queste problematiche che
l’Italia vive oggi, come porta d’Europa, siano oggettp di un confronto serio in sede
comunitaria, perché effettivamente il dramma di un Nord Africa sia vissuto come problema
politico europeo.
D. – Dopo l’ennesimo episodio di violenza, anche il
sindaco di Lampedusa, De Rubeis, ha minacciato in qualche modo il pugno duro nei confronti
degli immigrati. C’è un appello, un messaggio che vuole fargli arrivare?
R.
– Continuare a rappresentare effettivamente l’impegno di un’isola che in questi mesi
ha dato una grande dimostrazione di attenzione, al punto tale che era stata indicata
come possibile Premio Nobel per la pace, facendo veramente del superamento della conflittualità
e della violenza un punto di partenza per rispettare, tutelare i diritti sia delle
persone che vivono nell’isola, sia delle persone che sono arrivate. (ap)