L'Unhcr e il lavoro nel Corno d'Africa, fra la tragedia della carestia e l'attesa
delle nuove piogge
“Purtroppo questa carestia non sparirà nei prossimi mesi”. La stima è di un esperto,
Bruno Geddo, Rappresentante per la Somalia dell’Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i Rifugiati (Unhcr). All’indomani della colletta della Chiesa italiana per
le popolazioni del Corno d’Africa – ringraziata con speciale partecipazione – Geddo
illustra cifre alla mano la gravità della situazione in quella zona del continente
nero. L’intervista è di Fabio Colagrande:
R. –
Per dichiarare una carestia bisogna che almeno il 30% della popolazione sia afflitta
da quello che si chiama tasso globale di malnutrizione acuta. A Mogadiscio, a luglio,
avevamo un tasso globale di malnutrizione acuta del 40% e ad agosto era salito al
45,6%. Un’altra statistica è quella riguardante il tasso di mortalità, che per gli
adulti è di 2 morti su 10 mila al giorno. A Mogadiscio, a luglio, avevamo un tasso
del 4,29 e ad agosto del 5,68. La mortalità infantile, affinché sia dichiarato lo
stato di carestia, deve raggiungere invece una media di 4 decessi al giorno ogni 10
mila bambini sotto i 5 anni. A luglio avevamo il 14,9 e ad agosto il 15,43. Sono tre
statistiche che le forniscono un’idea della gravità della situazione.
D.
– Attualmente, la vostra attività sul fronte dei servizi sanitari e della nutrizione
ha migliorato un po’ la situazione in Etiopia...
R. – Sì, è vero. E’
anche vero che alcuni degli sfollati all’interno della Somalia, che arrivano alla
frontiera con l’Etiopia, si rendono conto che per loro è meglio aspettare dal lato
della Somalia che attraversare il confine. Ed è per questo che abbiamo avuto una riduzione
del flusso da duemila persone al giorno – il picco registrato a giugno – alle duecento
attuali. Questi sfollati pensano che la stagione delle piogge comincerà tra un mese
e restando in Somalia potranno più facilmente tornare a coltivare i loro campi. Per
questo, in collaborazione con la Fao, stiamo distribuendo agli sfollati che si trovano
in quell’area dei pacchetti di emergenza agricola per incoraggiarli a tornare a coltivare
i loro campi a partire da ottobre. Nello stesso tempo, però, l’afflusso verso il Kenya
continua a un livello che consideriamo inaccettabile. Arrivano oggi circa mille persone
al giorno. Il picco si è raggiunto alla fine di giugno con 1.500 arrivi quotidiani.
Mille persone al giorno per tre mesi fanno novantamila persone e la capacità dei campi
dell’Onu di Dadaab in Kenya, compresi i nuovi settori appena aperti, è di 540 mila.
A oggi ce ne sono già 440 mila e questo significa che se non riusciamo a far diminuire
il flusso dalla Somalia, entro gennaio Dadaab avrebbe completato la sua capacità di
ricezione e ci troveremmo in un grosso guaio.
D. – Voi avete anche intrapreso
una serie di missioni per verificare la situazione degli oltre 180 accampamenti di
fortuna nella capitale somala...
R. – Stiamo censendoli uno alla volta.
E’ un lavoro molto meticoloso e molto complesso, perché, come lei sa, in Somalia gli
sfollati si stabiliscono spontaneamente in luoghi dove possono affittare la terra.
Dal satellite ne erano stati censiti ben 240. Quindi, ora siamo in una fase in cui
viene stilata la lista delle carenze in modo che poi si possa alleviare fornendo la
relativa assistenza.