2011-09-20 15:36:18

L'Unhcr e il lavoro nel Corno d'Africa, fra la tragedia della carestia e l'attesa delle nuove piogge


“Purtroppo questa carestia non sparirà nei prossimi mesi”. La stima è di un esperto, Bruno Geddo, Rappresentante per la Somalia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). All’indomani della colletta della Chiesa italiana per le popolazioni del Corno d’Africa – ringraziata con speciale partecipazione – Geddo illustra cifre alla mano la gravità della situazione in quella zona del continente nero. L’intervista è di Fabio Colagrande:RealAudioMP3

R. Per dichiarare una carestia bisogna che almeno il 30% della popolazione sia afflitta da quello che si chiama tasso globale di malnutrizione acuta. A Mogadiscio, a luglio, avevamo un tasso globale di malnutrizione acuta del 40% e ad agosto era salito al 45,6%. Un’altra statistica è quella riguardante il tasso di mortalità, che per gli adulti è di 2 morti su 10 mila al giorno. A Mogadiscio, a luglio, avevamo un tasso del 4,29 e ad agosto del 5,68. La mortalità infantile, affinché sia dichiarato lo stato di carestia, deve raggiungere invece una media di 4 decessi al giorno ogni 10 mila bambini sotto i 5 anni. A luglio avevamo il 14,9 e ad agosto il 15,43. Sono tre statistiche che le forniscono un’idea della gravità della situazione.

D. – Attualmente, la vostra attività sul fronte dei servizi sanitari e della nutrizione ha migliorato un po’ la situazione in Etiopia...

R. – Sì, è vero. E’ anche vero che alcuni degli sfollati all’interno della Somalia, che arrivano alla frontiera con l’Etiopia, si rendono conto che per loro è meglio aspettare dal lato della Somalia che attraversare il confine. Ed è per questo che abbiamo avuto una riduzione del flusso da duemila persone al giorno – il picco registrato a giugno – alle duecento attuali. Questi sfollati pensano che la stagione delle piogge comincerà tra un mese e restando in Somalia potranno più facilmente tornare a coltivare i loro campi. Per questo, in collaborazione con la Fao, stiamo distribuendo agli sfollati che si trovano in quell’area dei pacchetti di emergenza agricola per incoraggiarli a tornare a coltivare i loro campi a partire da ottobre. Nello stesso tempo, però, l’afflusso verso il Kenya continua a un livello che consideriamo inaccettabile. Arrivano oggi circa mille persone al giorno. Il picco si è raggiunto alla fine di giugno con 1.500 arrivi quotidiani. Mille persone al giorno per tre mesi fanno novantamila persone e la capacità dei campi dell’Onu di Dadaab in Kenya, compresi i nuovi settori appena aperti, è di 540 mila. A oggi ce ne sono già 440 mila e questo significa che se non riusciamo a far diminuire il flusso dalla Somalia, entro gennaio Dadaab avrebbe completato la sua capacità di ricezione e ci troveremmo in un grosso guaio.

D. – Voi avete anche intrapreso una serie di missioni per verificare la situazione degli oltre 180 accampamenti di fortuna nella capitale somala...

R. – Stiamo censendoli uno alla volta. E’ un lavoro molto meticoloso e molto complesso, perché, come lei sa, in Somalia gli sfollati si stabiliscono spontaneamente in luoghi dove possono affittare la terra. Dal satellite ne erano stati censiti ben 240. Quindi, ora siamo in una fase in cui viene stilata la lista delle carenze in modo che poi si possa alleviare fornendo la relativa assistenza.







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