Libia: 25 mila morti nel conflitto. Così Jalil all'Onu. In Yemen prosegue la repressione
“Oggi il popolo libico sta scrivendo un nuovo capitolo nella vita della sua nazione”.
Così il presidente americano Barack Obama alla riunione degli Amici della Libia al
Palazzo di Vetro di New York. Presenti un’ottantina di delegazioni e il leader del
Consiglio nazionale transitorio libico Jalil. In Libia intanto si combatte ancora
mentre Gheddafi torna a farsi sentire in un audio-messaggio. Il servizio di Debora
Donnini.
Almeno nove
persone sono state uccise oggi dalle forze governative in Yemen, nella terza giornata
consecutiva di violenze contro i ribelli. Tra domenica e lunedì scorsi, quasi una
cinquantina di persone erano morte nella repressione delle manifestazioni dell’opposizione
e in scontri tra militari passati all’opposizione e truppe lealiste. A Sanaa, intanto,
i diplomatici internazionali tentano di mediare la transizione del regime. Il servizio
di Fabrizio Angeli:
Nuove proteste
nella cosiddetta Piazza del cambiamento, spaccature all’interno delle forze armate,
antichi conflitti tribali. Sono almeno 9 le persone morte oggi in una giornata che
fa registrare un’escalation di violenze intestine e che, secondo diversi osservatori,
rischia di sfociare in una vera guerra civile. La capitale Sanaa è da mesi divisa
in zone sotto il controllo governativo e in aree in mano alle truppe ribelli del generale
Ali Mohsen, parente del presidente Saleh. Quest’ultimo, riparato in Arabia Saudita
per la convalescenza dopo l’attentato subito nel giugno scorso, è di fatto al potere
da 33 anni. Mediatori dell’Onu e del Golfo sono nella capitale per negoziare una transizione
dei poteri che spezzi la catena di proteste e repressioni che va avanti da mesi. Secondi
i piani proposti dalle monarchie arabe, in contatto con Ue e Usa, l’opposizione dovrebbe
costituire un governo di unità nazionale. Saleh si dimetterebbe in cambio dell’immunità.
E a seguire, le elezioni presidenziali.
Nello Yemen sale a 55 il numero dei
morti da domenica, compresi due bambini, e si contano più di 900 feriti. Sul fronte
diplomatico, secondo fonti locali, è atteso da ieri l’accordo a Sanaa, tra l’inviato
dell'Onu Bin Omar e al Zayani, mediatore dei Paesi del Golfo, sulla proposta per uscire
dalla crisi. Salvatore Cernuzio ne ha parlato con l’ambasciatore Giuseppe
Panocchia, esperto di Medio Oriente:
R. – Nello Yemen,
al momento, c’è una situazione di stallo perché mi pare che il tentativo di mettere
da parte il presidente Saleh sia inattuale, soprattutto perché credo che, da parte
americana, si abbiano grosse preoccupazioni per quello che sarebbe uno Yemen privo
di una guida forte. Un Paese, quindi, facile preda di un’estendersi dell’influenza
di al Qaeda e di altri organismi terroristici. La vicina Arabia Saudita non ha nessun
interesse a vedere ancora più turbolente le sue frontiere.
D. – Attualmente
anche la Siria sta vivendo una situazione turbolenta: si può fare un confronto tra
queste due regioni?
R. – Incomincerei a dire che la Siria, da un punto di vista
della società civile, è molto ma molto più avanzata, quindi certamente non è comparabile
con le problematiche di carattere tribale che, ad esempio, caratterizzano lo Yemen.
La Siria ha un grosso problema di politicizzazione, anche perché l’attuale presidente
è espressione di una tendenza socialista araba. D’altra parte, poi, è un Paese strategicamente
importante sia per il suo ruolo verso la questione palestinese, sia per il suo rapporto
con l’Iran e, quindi, lì la coscienza occidentale è piuttosto appannata e poco reattiva.
D.
– Al contrario di quello che è stato in Libia?
R. – La Libia, da un punto di
vista economico, non aveva problemi; aveva problemi di società che nascevano, non
solo dall’ineguale distribuzione della ricchezza, ma anche dalla storica rivalità
tra bengasini e tripolini e, al tempo stesso ,dai tentativi di una componente islamista,
fondamentalista di svolgere un ruolo. E Gehddafi aveva sempre evitato di dare ospitalità
all’islamismo militante dei fondamentalisti, preferendo di finanziare il terrorismo
su base nazionalistica.
D. – Quale potrebbe essere un punto di svolta per lo
Yemen?
R. – Secondo me sarebbe necessario, innanzitutto, che gli europei facessero
delle riflessioni che non partano solo da un europocentrismo, considerando la nostra
società, i nostri diritti, il nostro modo di vivere, come l’unico parametro esistente;
bisogna vedere, in che misura, certi parametri possano essere gradualmente portati
avanti anche nel mondo arabo. (bf)