Dall'incontro annuale dei delegati europei di Pastorale universitaria emerge l'impegno
a nuovi metodi di comunicazione
Offrire una testimonianza di vita cristiana agli studenti partendo proprio dalle loro
difficoltà, per aiutarli a ritrovare il cammino della fede. Questo tra gli obiettivi
con cui si è concluso questa mattina a Madridl’incontro annuale dei 40 delegati
di Pastorale universitaria, provenienti da tutto il Vecchio Continente. Il meeting,
organizzato dalle Conferenze episcopali d’Europa, ha avuto come filo conduttore il
tema “La pastorale universitaria al servizio della nuova evangelizzazione”. Marina
Tomarro ha intervistato padre Ferenc Janka, vicesegretario generale del
Ccee e tra i promotori dell’incontro.
R. – “Nuova
evangelizzazione” non significa che finora non si sia fatto nulla, ma significa che
abbiamo bisogno di nuovi metodi e di nuove espressioni, di nuove forme della comunicazione.
Cioè, viviamo una certa apertura verso una certa spiritualità che ognuno segue a modo
proprio, però questo pensiero, questo atteggiamento poi finisce per andare in crisi.
Così noi, anche nell’ambito della pastorale universitaria dobbiamo ritrovare il cammino
ripartendo dalla tecnologia per arrivare alla spiritualità, da Dio a Cristo e da Cristo
alla Chiesa. Penso che questa sia la nostra missione: di compiere questo cammino,
ascoltare le problematiche della gente. Ci sono tanti problemi, ma questi problemi
non sono soltanto occasione di “lamentela”, quanto occasioni per aiutare: per esempio
per i professori universitari, affinché accompagnino gli studenti annunciando la buona
novella di Cristo.
D. – Ma in che modo le pastorali universitarie possono
aiutare l’evangelizzazione negli atenei?
R. – Intanto, dobbiamo valorizzare
quello che già abbiamo: ci sono le cappellanìe, ci sono i sacerdoti che si impegnano
per accompagnare i giovani. Naturalmente, la situazione è diversa a seconda del Paese.
C’è bisogno di creatività e di fedeltà al messaggio della Chiesa. Mi piace l’espressione
secondo cui “dobbiamo rinnovare il nostro primo amore” nei riguardi di Dio, di Cristo
e della Chiesa. Penso che la pastorale universitaria sia un colloquio tra un cuore
e un altro cuore, e se facciamo sentire la voce di Dio nel nostro cuore, essa susciterà
una risonanza nel cuore dell’altro.
D. – Quanto è importante, secondo
lei, la presenza delle cappellanìe all’interno degli atenei?
R. – E’
molto importante, perché la nostra epoca ci pone di fronte ad una grande tentazione,
e cioè che le università offrano soltanto un sapere tecnico. Però, già la crisi economica
ci mostra che il mercato non si può regolare da solo: ha bisogno di principi etici
e morali. Ecco, quindi, che se noi riusciamo ad offrire risposte che siano veramente
attraenti per la ragione, chiare, e se anche i collaboratori della cappellanìa, i
sacerdoti, i laici e gli stessi studenti cristiani parleranno ai loro amici di questa
loro esperienza di fede, se tutti noi saremo capaci di offrire una testimonianza di
vita cristiana, penso che potremo fare il possibile. Poi, preghiamo per la grazia
di Dio perché comunque la pastorale universitaria, come tutti gli ambiti della pastorale,
non è solo un’attività degli uomini, ma della grazia divina.
D. – Con
quali prospettive si chiude questo incontro?
R. – L’evento maggiore
sarà il prossimo Congresso, nel 2016, e poi continuiamo il nostro lavoro semplice.
Ma credo che per molti lo scambio delle esperienze, dei buoni esempi sia veramente
importante; speriamo che anche tra di noi cresca l’amicizia. Rinnoviamo nella preghiera
comune e nella celebrazione eucaristica la nostra dedizione alla Chiesa e ai giovani.
(gf)