2011-09-16 08:00:12

Partito in Libia l'assalto su Sirte. Ieri visita di Sarkozy e Cameron. Atteso Erdogan


E' partito in Libia il primo assalto di terra delle forze del Consiglio nazionale transitorio su Sirte, città natale di Gheddafi. L’operazione è scattata ieri, proprio mentre i nuovi vertici libici ricevevano il presidente francese Sarkozy e il premier britannico Cameron, in visita a Tripoli e Bengasi. Il servizio di Amina Belkassem: RealAudioMP3

Perché dunque, mentre sul terreno ancora si combatte, sono già cominciate le missioni in Libia dei leader internazionali, come quella di Sarkozy e Cameron e - nelle prossime ore - anche del turco Erdogan? Giada Aquilino ha intervistato Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: RealAudioMP3

R. – Le cose si stanno muovendo rapidamente in tutto l’arco mediterraneo ed arabo. Lo scenario è in evoluzione. Gli unici che sembrano non accorgersene sono alcuni Paesi europei, gli israeliani ed in parte anche gli americani. La fretta di andare in visita in Libia, quindi, è legata proprio al cercare di guadagnare posizioni in uno scenario in movimento.

D. – E’ una corsa agli appalti e al petrolio libico o ci sono anche ragioni interne europee? Pensiamo al lancio, in queste ore, della campagna socialista per le presidenziali francesi e la crisi economica che, di fatto, ha colpito anche la “big society” inglese...

R. – Sì. Una politica estera non è mai mossa da un solo motivo e nessuna azione è legata ad una specifica causa. Sicuramente c’è un problema di fare una politica estera che sia accompagnata da prospettive economiche per le proprie imprese. In un momento di crisi economica questo è un buon argomento in campagna elettorale ed è anche un segnale per ribadire la leadership su un’operazione che è stata a guida franco-inglese. E’ la competizione, è il mercato, è la crisi.

D. – E poi c’è la Turchia di Erdogan, che in Libia contende alla Cina il primato di interessi ed investimenti...

R. – Sì. Dopo l’Italia, la Turchia è forse uno dei Paesi più presenti in Libia e, prospetticamente, cerca di "mettere all’incasso" Erdogan e il suo nuovo posizionamento di politica estera, che non è anti-europeo, anti-americano, anti-occidentale, anti-israeliano. E’ una politica estera che tiene conto del fatto che con le rivoluzioni arabe tutto è in movimento e cerca di intercettare questo flusso di cambiamento. Si noti una cosa: quando sono iniziate le rivoluzioni arabe, sia nei confronti della Libia di Gheddafi e sia nei confronti della Siria di Assad, la Turchia di Erdogan era molto prudente. Quando poi però ha visto che le cose andavano in una certa direzione, è stata rapidissima ad adattare la sua politica alla situazione ormai cambiata. Questo non è né opportunismo né cinismo: è comprensione dello scenario in movimento.

D. – La crisi libica è al centro dei lavori del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La Gran Bretagna preme per un alleggerimento delle sanzioni, un embargo ridotto sulle armi ed il mantenimento della ‘no fly zone’. Che provvedimenti sono?

R. – Provvedimenti ‘attendisti’, nel senso che è difficile immaginare che nel momento in cui c’è un nuovo governo si può continuare con un embargo delle armi. In questo caso, si otterrebbe probabilmente il veto di qualcun altro ed il solo risultato pratico sarebbe che i libici andrebbero ad armarsi altrove. Per quanto riguarda la ‘no fly zone’, finché ci sono combattimenti in corso – e forze lealiste superstiti – è opportuno venga mantenuta. L’importante credo sia ribadire con forza che non bisogna mandare un esercito d’occupazione europeo o occidentale in Libia, perché sarebbe un errore totale.

D. – Parliamo di post-Gheddafi ma, in queste ore, il ruolo del colonnello qual è?

R. – Di fuggitivo. In questo momento Gheddafi è uno dei più grandi latitanti della scena internazionale. Direi che con la morte di Bin Laden lui è il latitante numero uno e nel momento in cui continua ad essere inafferrabile resta un elemento di perturbazione. (vv)









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