Partito in Libia l'assalto su Sirte. Ieri visita di Sarkozy e Cameron. Atteso Erdogan
E' partito in Libia il primo assalto di terra delle forze del Consiglio nazionale
transitorio su Sirte, città natale di Gheddafi. L’operazione è scattata ieri, proprio
mentre i nuovi vertici libici ricevevano il presidente francese Sarkozy e il premier
britannico Cameron, in visita a Tripoli e Bengasi. Il servizio di Amina Belkassem:
Perché dunque,
mentre sul terreno ancora si combatte, sono già cominciate le missioni in Libia dei
leader internazionali, come quella di Sarkozy e Cameron e - nelle prossime ore - anche
del turco Erdogan? Giada Aquilino ha intervistato Vittorio Emanuele Parsi, docente
di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:
R. – Le
cose si stanno muovendo rapidamente in tutto l’arco mediterraneo ed arabo. Lo scenario
è in evoluzione. Gli unici che sembrano non accorgersene sono alcuni Paesi europei,
gli israeliani ed in parte anche gli americani. La fretta di andare in visita in Libia,
quindi, è legata proprio al cercare di guadagnare posizioni in uno scenario in movimento.
D.
– E’ una corsa agli appalti e al petrolio libico o ci sono anche ragioni interne europee?
Pensiamo al lancio, in queste ore, della campagna socialista per le presidenziali
francesi e la crisi economica che, di fatto, ha colpito anche la “big society” inglese...
R.
– Sì. Una politica estera non è mai mossa da un solo motivo e nessuna azione è legata
ad una specifica causa. Sicuramente c’è un problema di fare una politica estera che
sia accompagnata da prospettive economiche per le proprie imprese. In un momento di
crisi economica questo è un buon argomento in campagna elettorale ed è anche un segnale
per ribadire la leadership su un’operazione che è stata a guida franco-inglese. E’
la competizione, è il mercato, è la crisi.
D. – E poi c’è la Turchia
di Erdogan, che in Libia contende alla Cina il primato di interessi ed investimenti...
R.
– Sì. Dopo l’Italia, la Turchia è forse uno dei Paesi più presenti in Libia e, prospetticamente,
cerca di "mettere all’incasso" Erdogan e il suo nuovo posizionamento di politica estera,
che non è anti-europeo, anti-americano, anti-occidentale, anti-israeliano. E’ una
politica estera che tiene conto del fatto che con le rivoluzioni arabe tutto è in
movimento e cerca di intercettare questo flusso di cambiamento. Si noti una cosa:
quando sono iniziate le rivoluzioni arabe, sia nei confronti della Libia di Gheddafi
e sia nei confronti della Siria di Assad, la Turchia di Erdogan era molto prudente.
Quando poi però ha visto che le cose andavano in una certa direzione, è stata rapidissima
ad adattare la sua politica alla situazione ormai cambiata. Questo non è né opportunismo
né cinismo: è comprensione dello scenario in movimento.
D. – La crisi
libica è al centro dei lavori del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La Gran Bretagna
preme per un alleggerimento delle sanzioni, un embargo ridotto sulle armi ed il mantenimento
della ‘no fly zone’. Che provvedimenti sono?
R. – Provvedimenti ‘attendisti’,
nel senso che è difficile immaginare che nel momento in cui c’è un nuovo governo si
può continuare con un embargo delle armi. In questo caso, si otterrebbe probabilmente
il veto di qualcun altro ed il solo risultato pratico sarebbe che i libici andrebbero
ad armarsi altrove. Per quanto riguarda la ‘no fly zone’, finché ci sono combattimenti
in corso – e forze lealiste superstiti – è opportuno venga mantenuta. L’importante
credo sia ribadire con forza che non bisogna mandare un esercito d’occupazione europeo
o occidentale in Libia, perché sarebbe un errore totale.
D. – Parliamo
di post-Gheddafi ma, in queste ore, il ruolo del colonnello qual è?
R.
– Di fuggitivo. In questo momento Gheddafi è uno dei più grandi latitanti della scena
internazionale. Direi che con la morte di Bin Laden lui è il latitante numero uno
e nel momento in cui continua ad essere inafferrabile resta un elemento di perturbazione.
(vv)