Appello dei vescovi indiani: “No alla pena di morte e all’esecuzione degli assassini
di Rajiv Gandhi”
“Come Chiesa dell’India siamo contrari alla pena di morte e chiediamo la salvezza
per gli assassini di Rajiv Gandhi. Auspichiamo che il nostro Paese possa imboccare
con decisione la strada dell’abolizione della pena capitale”: è quanto dichiara all’agenzia
Fides mons. Vincent Concessao, arcivescovo di New Delhi, interpellato sul caso che
sta dividendo l’opinione pubblica indiana, la probabile esecuzione di tre assassini
di Rajiv Gandhi. L’arcivescovo spiega: “In India occorre un’opera di educazione per
far capire perchè abolire la pena di morte: non si è fatto molto in tal senso. Molti
dicono che i terroristi non hanno diritto di vivere o che la pena capitale è un deterrente
verso i crimini. Ma la pena di morte ha fatto diminuire gli omicidi? La risposta è
no. Inoltre occorre sensibilizzare sul tema della vita, che è un dono prezioso di
Dio, autore e datore della vita. Solo Dio, non l’uomo, può dare e togliere la vita”.
Un tribunale di primo grado di Madras, in prima istanza, aveva condannato a morte
i 26 imputati nel caso dell'assassinio di Rajiv Gandhi, il leader ucciso il 21 maggio
1991 da un attentatore suicida del “Liberation Tiger of Tamil Eelam”, gruppo ribelle
attivo in Sri Lanka. La Corte Sprema ha poi annullato la sentenza capitale nei confronti
di 22 imputati, confermandola per quattro, e commutandola in ergastolo per uno di
loro. Nelle scorse settimane la richiesta di clemenza per i tre condannati Perarivalan,
Santhan e Murugan, presentata al presidente dell’India, è stata respinta e ora si
attende la data dell’esecuzione. Il dibattito nella nazione è serrato e molte organizzazioni
abolizioniste della società civile chiedono la commutazione della pena capitale in
ergastolo. Nei giorni scorsi in Tamil Nadu una donna di 27 anni si è suicidata, dandosi
fuoco, chiedendo il rilascio dei tre attivisti. La pena capitale è in vigore in India
come eredità dell’ordinamento britannico, nel braccio della morte vi sono circa 400
detenuti. Il Paese, però, non la applica dal 2004, aderendo a una “moratoria di fatto”.
(R.P.)