Egitto, Tunisia e Libia: il premier turco Erdogan in visita nei Paesi della primavera
araba
Prende il via oggi dal Cairo il viaggio del premier turco Recep Tayyip Erdogan, che
lo porterà anche in Tunisia e Libia. Tre Paesi in cui la 'primavera araba'
ha portato un cambio di regime; un banco di prova per le ambizioni di Ankara a diventare
un motore politico trainante del mondo musulmano. Salvatore Sabatino ne ha
parlato con Antonia Di Casola, docente di Storia della Turchia presso l’Università
di Pavia:
R. - Questa
non è una politica nuovissima, inaugurata di recente; ma è una politica che - se si
vuole - era stata enunciata dal programma del Partito di Erdogan, che è al governo
dal 2002. In realtà fa capo a quella che è stata definita con il doppio nome di “strategia
della profondità strategica”, attribuita all’attuale ministro degli Esteri, Ahmet
Davutoğlu; oppure altrimenti detta di “neo-ottomanesimo”. La Turchia ha recuperato
dei valori, tra i quali l’islam, ed ha considerato di aprire a nuove identità all’interno
del suo spazio - e l’obiettivo era quello di aprire all’identità curda - e con questo
si è resa conto di avere a disposizione grandi spazi in cui l’islam era presente e
sui quali la Turchia poteva esercitare una sua politica.
D. - Questo
vuol dire che i Paesi che in questi mesi hanno subito stravolgimenti - stiamo parlando
della Libia, della Tunisia e dell’Egitto stesso - possono vedere nella Turchia un
faro, un modello da seguire?
R. - In pratica è un po’ difficile, perché
la Turchia ha raggiunto il suo attuale modello attraverso 70 anni di khemalismo, recuperando
nell’ultima fase l’islam come suo valore storico - d’accordo - ma con tutte le riforme
che sono state fatte all’insegna dell’Occidente che caratterizzano la Turchia e che
non possono essere fatte nel breve tempo in altre realtà.
D. - La prima
tappa del viaggio di Erdogan è in Egitto: Egitto e Turchia sono i due partner storici
di Israele, almeno per un mantenimento degli equilibri, che vedono, però, ormai un
rapporto diplomatico incrinato con lo Stato ebraico. Insomma una tappa importante
questa…
R. - Molto importante perché la Turchia ha strappato la sua
alleanza, che veniva chiamata periferica, perché avvantaggiava questi due Paesi che
stavano in un certo senso intorno al cuore del mondo mediorientale; ha strappato la
sua intesa con Israele, che recentemente ha sospeso tutti i contratti, anche di carattere
militare, che erano il cuore di questa alleanza. L’Occidente ha per un momento pensato
che la cosa fosse passeggera: ma questo, invece, non sembrerebbe. Oggi a discapito
della rottura con Israele, la Turchia vuole costruirsi una posizione di predominio
in Egitto, per esempio: attraverso gli investimenti, attraverso gli accordi, attraverso
quel “soft power” che caratterizza la profondità strategica di Davutoğlu.
D. - Professoressa, la Turchia è stata sempre divisa in due anime:
una protesa verso l’Europa, l’altra testa di ponte dei Paesi musulmani. Riusciranno
a convivere queste due identità?
R. - Lo stanno facendo e lo stanno
facendo con grandi lacerazioni all’interno. Indubbiamente c’è questa spaccatura. A
me sembra che il disegno del partito al governo sia un disegno molto ben delineato:
non è certo un islam radicale quello a cui la Turchia guarda. Il recupero dell’islam
come suo valore storico; l’utilizzo dell’islam per diventare l’eroe come è attualmente
Erdogan dei Paesi islamici in Medio Oriente. Ma è uno strumento e la Turchia - penso
- proseguirà nella via della democratizzazione, dell’occidentalizzazione in senso
più ampio. (mg)