Somalia: “prudenza e speranza” di mons. Bertin dopo la firma della road map
“Dopo la firma di un nuovo accordo tra le parti somale dico sempre ‘bene, con prudenza
e con speranza’. Questo perché ci sono già stati almeno 15 accordi che sono poi rimasti
lettera morta, quindi qualche dubbio sorge spontaneo” dice all’agenzia Fides mons.
Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, commentando
la firma della cosiddetta “road map” per far uscire la Somalia dalla lunga fase di
transizione politica. L’accordo è stato siglato ieri, a Mogadiscio, dal presidente
dell’autorità di transizione somala (il governo provvisorio riconosciuto dalla comunità
internazionale), Sharif Sheick Ahmed, dai responsabili dell'autoproclamata regione
autonoma del Puntland (nel nord-est) e dalla milizia filo-governativa Ahlu Sunna wal
Jamaa, alla presenza di rappresentanti delle Nazioni Unite, dell’Unione africana,
della Lega araba e dell’ Igad (organizzazione che riunisce i governi del Corno d'Africa).
La road map prevede una nuova Costituzione, in vigore dal 1° luglio 2012, e libere
elezioni subito dopo, entro il 20 agosto. “Speranza e prudenza dunque” ribadisce mons.
Bertin al quale facciamo notare che l’accordo è stato firmato nella capitale somala,
Mogadiscio, mentre quelli precedenti erano stati siglati all’estero, in Kenya o a
Gibuti. “Questo fatto è certamente significativo - commenta mons. Bertin - ma è pur
vero che Mogadiscio è isolata dal resto della Somalia centro-meridionale, perché il
potere del Governo di Transizione è limitato alla capitale, ed è sostenuto dall’Amisom
(la missione militare dell’Unione Africana). Bisognerà vedere quindi se si riuscirà
ad andare oltre l’aspetto simbolico e il Governo di Transizione sarà in grado di estendere
la sua autorità al resto del Paese. Detto questo, preferisco sempre sperare che dire
che questo accordo non serve a niente, anche perché non sembrano esservi altre alternative.
La speranza resta l’unica alternativa” aggiunge il vescovo di Gibuti. La Somalia centro-meridionale
è l’area più colpita dalla crisi alimentare, aggravata dal rifiuto delle milizia Shabab
(che controllano l’area) di permettere l’intervento delle organizzazioni umanitarie
straniere. “Non so fino a quando la politica degli Shabab potrà continuare, perché
così facendo rischiano di attirarsi l’odio della popolazione locale” sottolinea mons.
Bertin. “Queste popolazioni che soffrono la fame non possono ricevere aiuti dall’esterno
e gli viene impedito di recarsi a Mogadiscio o nei Paesi confinanti per cercare di
sfuggire alla fame. Non so fino a che punto gli Shabab saranno in grado di giocare
con la vita dei civili, prima che la situazione sfugga loro di mano” conclude mons.
Bertin. (R.P.)