L'arcivescovo di Cosenza: status di rifugiato alla donna nigeriana che rischia la
lapidazione
Dovrebbe ottenere l’asilo politico e restare in Italia la giovane nigeriana Kate Omoregbe,
che rischia nel suo Paese la lapidazione per essersi convertita al cristianesimo e
non aver voluto sposare un ricco musulmano, molto più anziano di lei. Ad affermarlo
è il ministro italiano degli Esteri, Franco Frattini. La donna è uscita ieri dal carcere
di Castrovillari, in Calabria, dove era stata rinchiusa per spaccio di droga. Commentando
la notizia della liberazione della donna, l’arcivescovo di Cosenza - Bisignano, mons.
Salvatore Nunnari, si è associato agli appelli per “la richiesta di riconoscimento
dello status di rifugiato” in modo da “evitare alla donna la condanna a morte nel
Paese di provenienza”. Il presule ha anche ricordato “l’inviolabilità della vita umana,
il dovere dell’accoglienza e della difesa dei profughi, provenienti da Paesi dove
la dignità dell’uomo non è sempre rispettata e compresa come valore primario umano
e divino”. A seguire da vicino la vicenda è anche la Comunità di Sant’Egidio. Federico
Piana ha intervistato il portavoce, Mario Marazziti:
R. – Nessuno
deve tornare al proprio Paese se c’è la pena di morte e lei rischia la pena di morte.
Questa è una donna, una cristiana, abbastanza povera, la cui famiglia nel suo Paese
decide di far sposare ad un parente abbastanza ricco, musulmano. Questo parente abbastanza
ricco se la prende per circa un anno e la vessa nei modi in cui può fare. La donna
fugge e diventa uno dei tanti profughi rifugiati. Le sue amiche stanno in altri giri
e ad un certo punto lei, coinvolta, viene arrestata e viene condannata a quattro anni.
Siccome in carcere è una persona speciale, le viene ridotta la pena. E che succede?
Succede che lei, avendo commesso un reato, deve essere espulsa e rimandata al proprio
Paese. Quindi l’Italia, che lottava e lotta contro le discriminazioni, per la liberazione
delle schiave e degli schiavi, contro lo sfruttamento delle donne, per liberare le
donne dalla prostituzione, per abolire la pena di morte nel mondo, automaticamente
per la legge sull’emigrazione, si rende e si rendeva responsabile di mandare una donna
a morire.
D. – In che modo si potrebbe evitare questa espulsione? Come
trattenerla in Italia?
R. – Ci sono almeno due o tre vie. La prima è
che lei da tempo ha fatto domanda di asilo e questa domanda va presa in esame. E va
semplicemente accolta, perché ci sono tutti gli estremi. Nel frattempo, però, va sospesa
l’esecuzione del decreto di espulsione, che sarebbe automatico a causa della condanna.
Poi, può essere immediatamente concesso un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Quindi, non solo la sospensione della pena, ma già il primo permesso di soggiorno
per motivi umanitari che regolarizzi la situazione.
D. – C’è il rischio
che tutto questo poi non venga fatto e che qualcosa si blocchi?
R. –
Io direi che qualcosa si può bloccare. Quindi, credo che oggi sia il giorno in cui
chiedere alle autorità italiane di fare un primo passo pubblico per dire: questa storia
si è fermata e avrà un lieto fine. Per cui credo ci sia una pressione intelligente
da continuare ad esercitare fino al primo atto burocratico.(ap)